Sembra che da quando abbiamo smesso di essere nazione riusciamo solo a costringere il meglio di noi a uno strano esilio.
Pinuccio Sciola è perplesso. Quale è la sua patria? Non tanto quella che ne ispira suoni e narrazioni ma quella che lo riconosce come “profeta” e come “figlio”: quella che lo afferma nei fatti come “suo”, che dice “è nostro, esprime una parte di noi stessi, antica e nuovissima al contempo”. Problema vecchio ma non eterno. Lo stesso che costrinse un altro aedo della Sardegna ad un pesante addio e all’amara constatazione che solo ottenendo un riconoscimento esterno i sardi avrebbero iniziato ad apprezzarlo. Eppure Sergio Atzeni altro non voleva fare che narrare la sua nazione. Sembra che da quando abbiamo smesso di essere effettivamente nazione non riusciamo a far altro che costringere il meglio di noi stessi ad uno strano esilio, fisico o dell’anima. Come a voler spezzare quella trama invisibile e necessaria che ogni collettività continuamente ritesse per esistere. Quella che compone passato, presente e futuro, e li fa vibrare insieme. Del resto, quanto tempo c’è voluto perché i sardi scegliessero di essere eredi di una civiltà come quella nuragica? E ora che sembrano farlo quale senso gli danno?
Come noi di iRS abbiamo detto a Renato Soru in un recente incontro non basta costruire un “museo”, un oggetto statico, un contenitore del passato: ciò di cui abbiamo bisogno è un luogo che sia metafora del dinamismo e del desiderio di libertà del nostro popolo. Simbolo di un passato reale e di un futuro possibile.
Gli abbiamo suggerito di prendere spunto dal “Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou” in Nuova Caledonia. Per la sua bellezza estetica e per la densità di senso che trasuda. Apartire dal nome, che contiene il germe della creatività, della sperimentazione, della continua traduzione della tradizione. A partire da quel nome, Jean-Marie Tjibaou, leader indipendentista che in pochi anni ha saputo ridare coscienza e vita ad un popolo per i più morto, figura epica e profetica di “indigeno cosmopolita” capace di esaltare la sua cultura e affermare con risolutezza: “Il ritorno alla tradizione è un mito la nostra identità è davanti a noi”.
Eccolo lì il futuro, il senso, la direzione verso cui il popolo kanak tende: il percorso per l'”indipendenza negoziata” dalla Francia è già in atto. Il tempo sancito: quindici anni e poi au revoir! Che altro dire se non invitare Sciola con le sue fantastiche pietre a inaugurare la nuova stagione del Governo Provvisorio, il centro culturale di iRS, a Sassari?
Venga in questo luogo che è una Repubblica indipendente in piccolo, dove si vive e si pensa da Nazione. Venga nell’unico “governo” che lo considera e in cui potrebbe essere profeta in patria. Venga per dar un segno e un senso a questo popolo che o si auto-umilia o dietro gli inutili orgogli continua a mascherare una profonda paura di se stesso e del suo diritto alla libertà. Venga, per essere felici insieme, a casa.
03/10/2005
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Isgàrrica s’artìculu: 2005-10-03 – Patria e pietre. Ripartire dall’energia delle pietre di Sciola
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