Intervista a Ornella Demuru su Sardi News
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“L’indipendenza per noi è un percorso a lungo termine. Questo significa che nei tratti intermedi è necessario conquistare fette di sovranità in determinati campi. Faccio un esempio: possiamo essere indipendenti dal punto di vista dell’energia, con un serio investimento nel fotovoltaico. Oppure in ambito fiscale dove potremmo creare una politica di defiscalizzaione per le PMI”.
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Ornella Demuru, nella foto, 38 anni, nuova segretaria di iRS (indipendèntzia Repùbrica de Sardigna). Eletta il 17 gennaio, data simbolica che nella cultura sarda coincide con l’inizio della primavera. Il partito ha voluto utilizzarla come “data simbolo della primavera indipendentista”.
Attivista iRS dal 2008, ha un passato da sindacalista, responsabile Cgil in Tiscali per tre anni, ha collaborato alla campagna elettorale di Renato Soru del 2004 e lo ha seguito in Regione nella comunicazione sul web. E’ laureata in Antichità e Istituzioni medievali a Cagliari.
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L’indipendenza è un’utopia?
“No. Se noi avessimo una politica economica e fiscale, all’indomani di queste riforme politiche potremmo realizzare un’indipendenza totale. Solo leggi internazionali che ci garantiscono la possibilità di renderci indipendenti. Stiamo guardando con particolare attenzione l’esempio della Scozia, paese in cui, solo 30 anni fa, il partito indipendentista aveva una forza politica del 2 per centro. Oggi gli indipendentisti sono al governo. Tutto questo è accaduto senza alcun ricorso alla violenza”.
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Quali leve intendete agire per i vostri obiettivi?
“La politica di iRS si basa su tre principi. Il primo è quello della non violanza. Le storie dei popoli raccontano una libertà conquistata spesso con guerre sanguinose. Gandhi, invece, parlava di un concetto che in italiano potremmo tradurre come “forza dell’amore e della volontà”. Su questo prima cardine impreniamo il nostro credo politico. Il secondo è quello del non-nazionalismo; concetto di difficile comprensione perchè sono poche le nazioni che si vogliono affermare senza nazionalismi. Non crediamo di essere un popolo unito da un’origine etnica, non abbiamo ripiegamenti sul passato perchè la nazione sarda è in divenire e non vogliamo fare richiami al sangue”.
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Un concetto complesso.
“E’ un concetto collettivo e moderno rivolto a chiunque voglia far parte della nostra terra”.
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E il terzo principio?
“Il non-sardismo, che per noi è una tradizione politica più o meno esplicita che considera la Sardegna come una nazione “abortiva”. Questa espressione appartiene a Camillo Bellieni, uno dei padri del sardismo. La parola “abortito” significa “morto, non nato”, mentre la parola “abortivo” racchiude in sè un significato ancora più stringente, significa “ciò che genera in continuazione la propria morte”. E’ un concetto auto-razzista che si è sviluppato su una politica basata sul rivendicare risorse e trsferimenti dallo Stato italiano. Un’abitudine all’assistenzialismo che è l’esatto contrario dell’evoluzione di una autonoma capacità di gestione. Non è possibile costruire una repubblica indipendente accettando questa prassi”.
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L’esperienza Soru?
Sicuramente una delle legislature più importanti degli ultimi 30 anni. Ha avuto il coraggio di dare una svolta a daterminate empasse come gli enti locali, le comunità montane. L’ho apprezzato dal punto di vista legislativo. Una critica? La mancanza di uno spirito collegiale nelle scelte”.
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E l’attuale governo?
“Assente. Abbiamo assistito a tutta una serie di finanziamenti privi di un disegno politico. Dopo le critiche all’autoritarismo di Soru ci si attendeva una linea riconoscibile. Nel governo Cappellacci non ci sembra di ritrovare una linea o un progetto. Da una parte abbiamo un centrodestra che non trova una propria identità, dall’altra un centrosinistra che non ha niente da proporre”.
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Quali le cause della frammentazione tra sardisti, autonomisti, indipendentisti?
“Noi siamo sciolti dalle idee del sardismo proprio in base ai nostri tre principi. Ma ogni posizione assunta al’interno di questi schieramenti fa si che si concretizzi sempre più il concetto dell’indipendentismo. Tutti i partiti operano in Sardegna all’interno di una visione italiana, ma sono di destra, di sinistra, di centro. Se volessimo congiungere le aspirazioni di sardisti, autonomisti e indipendentisti è come se chiedessimo a PD e PdL di diventare in Sardegna un unico partito. Con questo intendo dire che ogni movimento politico porta avanti le proprie istanze. Noi, per esempio, alle prossime provinciali correremo da soli”.
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Come vede lo spostamento a destra del Partito Sardo d’Azione?
“Sinceramente nel progetto politico del PSd’Az non c’è mai stata una definizione statutaria che li renda appartenenti alla destra o alla sinistra”.
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Avete quantificato temporalmente il percorso verso l’indipendenza?
“Rifacendoci all’esempio scozzese, parliamo di 30 anni. Ma la storia ha i suoi percorsi, e non possiamo escludere che riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo anche prima”.
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Com’è suddivisa la nazione Sarda?
“Ci sono otto regioni che corrispondono all’attuale ordinamento amministrativo. In più una regione che noi abbiamo chiamato “Disterru”, ovvero quella composta dai “disterrati”, quelli che vivono fuori dalla Sardegna, nel mondo”.
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Avete paura che, staccandovi dall’Italia, ci possano essere ripercussioni sotto il punto di vista dell’import-export?
“Una nazione autarchica è impossibile, ma dobbiamo considerare il problema da un’altra prospettiva. Il cordone ombelicale che ci lega all’Italia preclude tutta una serie di scambi con gli altri paesi che si affacciano sul mediterraneo, facilitati dalla nostra posizione geografica. L’aumento degli scambi con l’estero porterebbe un naturale aumento della produzione in una terra votata naturalmente all’agricoltura e che, invece, occupa il 70 per cento delle sue maestranze nel terziario. L’Italia ci ha condannati a un tessuto produttivo limitato e troppo limitato all’import”.
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Raffaela Ulgheri
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