di Flavio Soriga
Articolo comparso su La Nuova Sardegna del 19 ottobre 2010
Domenica sera il signor Samuel Eto’o, di cittadinanza spagnola, africano del mondo che passa la vita spostandosi da un aeroporto internazionale a un hotel cinque stelle, giovane alto ed elegante, ironico e autoironico, sposato con una modella bellissima, svolgeva la sua professione a Cagliari, capoluogo dell’isola di Sardegna. In questa terra, fino a poco tempo fa nota soprattutto per l’abitudine dei suoi abitanti di rapire gli stranieri benestanti e tagliare loro un orecchio, ritenuta universalmente inospitale e ferale e abitata da malaria e febbri, fame e miseria, e da piccoli uomini col cranio la cui forma denunciava una forte propensione al crimine, in questa terra il signor Eto’o svolgeva domenica sera la sua professione, quella di calciatore.
Una stella internazionale del pallone, conosciuto e amato in tutto il pianeta, giocava a Cagliari, città dove un tempo venivi mandato in punizione. E lì, a inizio partita, alcuni dei suoi abitanti hanno trovato efficace, per offendere e fare innervosire il signor Eto’o, che è di colore e viene dal Camerun, eseguire in coro il presunto verso della scimmia. «Buh,-buh, brutto africano troglodita abitante delle foreste», gridavano i piccoli sardi, discendenti di genti giunte da Palestina, Libano, Cartagine e Bisanzio, «Tornatene nella Savana», gridavano. E’ facile immaginare, al contrario, che a fine partita il signor Eto’o sia tornato a Milano, in una villa immersa in un parco, accolto dai numerosi dipendenti che gli curano magione e dependance e piscina e giardino all’inglese, e che la mattina dopo, sul tardi, sia andato in Via Montenapoleone a comprare degli orologi o un completo di Armani, e poi a pranzo in un lounge-bar del centro.
Quelli che gli hanno dato della scimmia, difficilmente si sono concessi una giornata altrettanto piacevole. Signor Eto’o, mi dia retta: quelli non erano sardi. Voglio dire: quelli lì non rappresentavano minimamente la terra in cui sono nati e cresciuti. Quelli lì fanno così perché lei si arrabbi. E lei, giustamente, si arrabbia. Contninui a farlo, la prego. Si indigni a nostro nome, ancora e sempre, in questo povero Paese in cui troppo pochi hanno il coraggio di intestardirsi a indignarsi, pochi, inascoltati, sempre gli stessi. Protesti, si infuri, pretenda che si rispettino le regole, almeno sul campo di calcio. Signor Eto’o, domenica sera, mentre lei festeggiava il suo bellissimo gol nel miglior ristorante di Milano, nella pizzeria di Roma in cui cenavo con i miei amici, essi, tutti, i non-sardi che avevano visto le scene in tv, increduli mi chiedevano: «Ma come è possibile, proprio in Sardegna?». E un po’, secondo me, alludevano all’arciproverbiale accoglienza degli isolani, al nostro celebrato amore per l’ospite, a quel piccolo patrimonio di simpatia e curiosità positiva che il mondo oggi ci concede. «I sardi hanno un grande cuore», mi sento dire, delle volte, in giro per l’Italia.
Forse capita anche a lei con gli africani, signor Eto’o, e forse sente anche lei la stessa punta di fastidio che delle volte sento io, davanti a queste parole: tutti i sardi col grande cuore, tutti gli africani generosi e sinceri, onesti e allegroni? No, tutti tutti no. E sa una cosa? Secondo me l’incredulità dei miei amici romani era anche dovuta a questo: che essi mi guardavano in faccia, piccolo basso scuro sardo utese perpetuatore di geni nordafricani, e pensavano ai miei conterranei che l’hanno fischiata, e si dicevano: «Ma davvero?, Ma proprio voi, sardi generosi e bassi e silenziosi ed esotici, fino all’altroieri rapitori e autori di faide assurde, possibile, proprio voi?». Infatti non è possibile. Si indigni, signor Eto’o, continui a farlo sempre, anche a nome nostro, di tutti i sardi perbene, ma non scambi quelli lì per i sardi: i sardi, in fondo, non esistono in astratto, come non esistono gli africani, ogni sardo rappresenta sé stesso, e quelli di domenica, davvero, nella loro pochezza non rappresentano nessuno.
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1 commento
Domenica poco oltre le 12.30 guardavo, come tanti tifosi che non possono recarsi allo stadio, la partita su SKY. Quando l’arbitro ha interrotto la partita ho detto: debbo essermi sintonizzato nella televisione di un altro paese, dove le regole (l’interruzione delle partite in caso di cori di contenuto razzista) si applicano. Ho ricontrollato…si, si trattava di una partita di serie A, in Italia.
“Càstia” ho pensato “vuoi vedere che le regole valgono solo per noi Cagliaritani?”
Dico questo perchè evidentemente Flavio Soriga non vede molte partite di calcio, e per certo non vede quelle del Cagliari.
Se vedesse spesso partite di calcio saprebbe per esempio che nell’Italia culla di civiltà millenarie il “buh-buh-buh” lo fanno tutte le tifoserie, e che pertanto quasi tutte le partite sarebbero da interrompere.
Se avesse visto anche qualche altra partita del Cagliari saprebbe che il “buh-buh-buh” lo si riserva anche all’italiano Gattuso come allo svedese(?) Ibraimovich.
Se poi avesse riflettuto sul fatto che a Cagliari abbiamo avuto, da almeno 40 anni, giocatori di colore che hanno tranquillamente ed orgogliosamente vestito la nostra casacca, forse non si sarebbe lasciato andare ad un commento che io reputo un po’ qualunquista.
E se poi si fosse soffermato a notare che quell’odioso “buh-buh-buh” per esempio non veniva invece rivolto a Maicon (anch’esso alto, nero e ricco) forse gli sarebbe potuto sorgere un dubbio: ma non è che i tifosi cagliaritani volevano, senza dubbio in maniera incivile e poco ortodossa, far innervosire il giocatore più in forma della squadra avversaria?
Che c’entra il fatto che noi Sardi siamo (oramai sempre meno) bassi e scuri ed allora, quasi come “conditio sine qua non” non possiamo permetterci di urlare “terrone coleroso”, “continentale di m.” o “torna nella jungla”?
L’insulto è insulto. E’ fatto per provocare, offendere, innervosire.
Eto’o ha tutto il diritto di sentirsi offeso. Ma dovrebbe sentirsi offeso nella stessa maniera nella quale è con ogni probabilità insultato quando il Camerun gioca contro la Costa D’Avorio o il Senegal. Perchè immagino che i giocatori Sardi quando i tifosi avversari gli urlano “pastore” non facciano interromepere le partite.
Perchè lo stadio di calcio, che lo si voglia o no, non è solo sportività o “fair play”. Non è il rugby.
Con ciò, sia chiaro, non intendo giustificare un comportamento estremamente scorretto, che peraltro a mio avviso ha dei precedenti assai peggiori:
Soriga forse non se lo ricorda, ma il Cagliari si è passato un anno giocando a Tempio Pausania per colpa di un digraziato che colpì il portiere del Messina durante una partita. Quel tale fece forse qualche giorno di carcere.
E quella volta non si parlò di Sardi dal cuore d’oro.