A Castiadas una giovane madre in condizioni disagiate, dopo quattordici anni di emigrazione all’estero e con un figlio di appena diciannove mesi, ha occupato nella primavera del 2012 uno dei casolari colonici disabitati appartenenti all’Etfas (ente per la Riforma Agraria istituito in Sardegna nel 1952) aprendo così un contenzioso con il vecchio assegnatario, un ex funzionario del suddetto ente.
La giovane alla data del 29 Marzo 2013 sarà di fronte allo sfratto esecutivo. Al momento in casa non ha neppure l’acqua perché non ha i titoli per acquisire il contratto.
La questione riguardante il diritto di utilizzo delle residenze Etfas, in seguito rinominato Ersat e oggi Laore è alquanto controversa. Teoricamente le case sarebbero dovute essere proprietà immobiliari inizialmente destinate alle famiglie dei lavoratori impegnati dall’ente di riforma. In realtà invece i criteri di assegnazione non sono stati sempre rispettati e spesso ad avere maggiori privilegi sono state le persone che all’interno degli enti ricoprivano cariche dirigenziali. Oggi molte di queste residenze sono subaffittate e utilizzate come abitazioni estive. La manutenzione ordinaria si limita alle sole facciate esterne e unicamente nella misura necessaria per mantenere il privilegio delle concessioni, queste ultime peraltro vincolate da graduatorie di merito che da anni non sono rispettate.
Il caso della giovane donna di Castiadas pone due questioni fondamentali, tra loro strettamente collegate e che interessano da vicino il presente della Sardegna; da una parte c’è il diritto alla casa come bene primario e dall’altra si assiste inermi al fallimento di tutti i tentativi per una reale riforma agraria in Sardegna. In particolare in questi due aspetti emerge l’assenza dei più elementari principi di equità nel godimento del bene pubblico, poiché in tal caso si tratta di beni immobili (le case e la terra) appartenenti alla collettività.
Il 9 Luglio del 1951, si riunirono per la prima seduta del consiglio di amministrazione dell’Etfas 13 consiglieri, pronti a dare vita alla Riforma Agraria . La seduta inaugurale fu presieduta dal suo primo presidente, prof. Enzo Pampaloni, presente l’on. Antonio Segni, allora Ministro dell’Agricoltura e Foreste.
L’Etfas assorbiva in sé l’Ente Sardo di Colonizzazione, gemmazione del ex Ente Ferrarese attivo già dal 1933. I fini istituzionali rimanevano fermi al settore della bonifica e della colonizzazione e quindi a interventi organizzati per l’agricoltura attraverso l’edificazione di case rurali, capannoni, locali di servizio, borgate, acquedotti, elettrodotti, dighe e abitazioni per le famiglie di tecnici, assistenti sociali, maestranze.
In tutta la Sardegna l’intero patrimonio immobiliare dell’Ente era composto da 47430 ettari di terre espropriate e 15538 ettari di terre acquistate. Le abitazioni costruite furono 2545, ma allora la previdenza pubblica a favore degli agricoltori non prevedeva alcun aiuto finanziario per la costruzione dei servizi igienici e molte case furono edificate anche senza le fondamenta; mancava persino l’isolamento termico e le case erano spesso malsane e umide tanto che nell’estate del 1955 furono inviati alle colonie estive 1300 figli di assegnatari, affetti da tracomatosi.
Migliaia di famiglie di braccianti erano state trasferite nei nuovi insediamenti. Erano persone che nei rispettivi luoghi di provenienza avevano maturato la cultura degli “usi civici”, consistenti nel godimento collettivo della terra, un antichissimo diritto sulle zone rurali sarde per l’uso del pascolo, legnatico e semina sui terreni della comunità.
La legge stabiliva per gli assegnatari del fondo colonico l’obbligo di far parte delle Cooperative e Consorzi costituiti dagli Enti di Riforma per la durata di vent’anni dalla stipulazione del contratto.
Dopo decenni in cui si è assistito al reiterarsi dei fallimenti di tutti i tentativi d’implementazione dei progetti di riforma agraria, oggi in Sardegna assistiamo impotenti al processo impetuoso di spopolamento delle campagne e delle zone interne dell’isola.
Sappiamo bene che questo fenomeno non è certo dato dal caso; lo sperpero di denaro pubblico promosso dalle iniziative regionali, dalle associazioni di categoria, dalla vecchia Cassa per il Mezzogiorno ma soprattutto la miopia di tutta quella classe politica e dirigenziale che non ha mai pensato all’agricoltura come al settore portante per l’economia della nostra terra. Ciò fa si che oggi in Sardegna si importi circa l’84 % del cibo che finisce nelle nostre tavole.
Tuttavia oggi qualcosa sembra far intravedere la possibilità di percorrere strade diverse, al fine di sviluppare processi nuovi e virtuosi; la creazione di filiere corte, la diffusione di una cultura imprenditoriale votata alle produzioni di qualità, la creazione di reti per l’auto-produzione e l’auto-consumo. Tutti segnali che indicano con ancora maggiore decisione che la direzione da seguire non potrà non essere quella centrata sullo sviluppo locale, con la promozione, fra i sardi, di una cultura della sovranità dove il patrimonio della terra ritorni ad essere considerato un bene pubblico e in quanto tale inalienabile per usi privatistici o meramente speculativi.
Nel caso delle residenze ex Etfas, in questo senso sarebbe più ragionevole e sensato ripensare un riutilizzo legato all’agricoltura, che potrebbe avere oggi anche un’importante valenza sociale legata alla costruzione di nuove comunità e identità locali. D’altronde questi erano gli scopi per i quali questi insediamenti erano stati progettati.
Bettina Pitzurra / Andrea Faedda
iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna
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