La Sardegna oggi è una terra che importa l’84% di agroalimentare, questo vuol dire che produciamo appena il 16%.
Il miraggio dell’industria chimica ha fatto sì che gli agricoltori abbandonassero le proprie terre e il proprio mestiere alla ricerca di un futuro migliore e di uno stipendio sicuro. Oggi rimane il deserto, il fallimento dell’industria, gli operai in cassa integrazione, i morti di tumore e un territorio devastato dall’inquinamento.
A questo hanno seguito politiche agricole che per decenni hanno premiato la non-produzione, con l’erogazione di incentivi per la semina di un determinato prodotto che, una volta incassati gli incentivi, non veniva raccolto.
Le terre, un tempo coltivate e produttive, ora sono incolte e abbandonate e fanno gola agli speculatori di turno. In alcune sorgono pale eoliche gestite da multinazionali o associazioni mafiose, ai cui proprietari terrieri viene concesso appena l’1% dei profitti, in altre pannelli fotovoltaici con lo stesso sistema, in altre cardi e paulonia.
Da diversi anni e con l’avvallo della classe politica, l’Eni propina e attua progetti calati dall’alto, come quello della cosiddetta “Chimica Verde”, che non vengono mai discussi seriamente con i cittadini, progetti che sembrano essere ideati per lo sviluppo del territorio, ma appaiono più come un ricatto da parte dell’Eni per non bonificare quei territori che ha devastato per anni.
La formula è sempre la stessa: “Questo è il progetto, se lavori qui hai lo stipendio”. Che poi quel progetto vada a favore o a danno del territorio e della collettività non è importante. Ovviamente le società proponenti non potranno mai dire che quello che propongono non sia utile al territorio. Nella versione ufficiale conviene solo al territorio, nella versione reale, spesso, conviene solo all’azienda proponente.
Un altro errore è quello di calcolare sempre e solo i posti di lavoro che vengono dati e mai quelli che vengono tolti, così che fare una comparazione risulta difficile.
Il modello industriale proposto dall’Eni è sempre stato in linea con un’idea di sviluppo che sfrutta le risorse locali fino all’esaurimento, nascondendosi spesso dietro belle parole come “green”, “bio”, “eco”. E mentre il mondo intero riscopre il valore dell’agricoltura locale, della filiera corta, della chiusura locale dei cicli di produzione, consumo e autosostentamento, in Sardegna si propongono ancora centrali di produzione di materie prime da esportare, sfruttando di aree dall’alto valore produttivo per la monocoltura, notoriamente pericolosa.
Pensiamo davvero che il futuro per il nord Sardegna sia quello di piantare cardo?
La Regione Sardegna dovrebbe cambiare metodo e filosofia. La teoria dei posti di lavoro, pochi, maledetti e subito non funziona. Pensiamo che si dovrebbe commissionare un progetto partecipato per il rilancio del territorio e dell’economia partendo dai bisogni della collettività. Il fatto che importiamo l’84% di agroalimentare dovrebbe farci riflettere. Probabilmente sarebbe più utile coltivare le terre per soddisfare il nostro fabbisogno alimentare e non cardo da bruciare negli impianti di Matrica.
Prima di trattare bene gli investitori dobbiamo iniziare a trattare bene la nostra terra, tutelare la nostra salute e creare posti di lavoro con progetti che siano davvero utili al territorio e non solo a chi ha un palese interesse.
Ancora ci chiediamo come mai i dirigenti di Matrica non abbiano mai accettato un incontro paritetico con i cittadini. Cosa avevano da nascondere?
iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna