Bases militares istranzas italianas e istadunitenses

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di Gavino Sale

Intervento di Gavino Sale durante la seduta del Consiglio Provinciale di Sassari.

Non vorrei che questa discussione deviasse solo ed esclusivamente sul tema dell’ampliamento della base americana di Santo Stefano, penso che bisognerebbe estenderlo a tutta l’occupazione militare. E penso che stiamo parlando in un’aula densa di simboli e di riferimenti storici a forme di liberazione di questo Popolo e di forme di oppressione passate, presenti e viventi. Mi riferisco alle dichiarazioni del Prefetto, all’esistenza del Prefetto che è qui in questo palazzo come diretta emanazione del dominio coloniale italiano su quest’Isola. Penso all’immagine di Angioy che rimane sulla mia sinistra e a tutti gli altri che raffigurati nell’aula accanto a partire da Mariano II, Mariano IV, Eleonora d’Arborea, Alagon, Amsicora gente che è morta per la liberazione di questa Terra, di questa Nazione, di questo Popolo.
E sulla mia destra vedo il sorriso beffardo di Vittorio Emanuele II che ride, che gode, che dice: “dopo avervi stuprato mogli e figlie, dopo avervi distrutto, ucciso e saccheggiato mi onorate con una statua irriverente in Piazza d’Italia e con un mezzobusto in questa sala.

Ritorniamo al moderno: il Prefetto chiede di chiudere le porte di questo palazzo perché siamo diventati un elemento sensibile. E perché siamo diventati un elemento sensibile? Forse perché la Provincia di Sassari ha mai dichiarato guerra a qualcuno? O forse perché l’emanazione diretta del potere dello Stato italiano rappresenta un atto di provocazione, nella sua esistenza e nel suo agire, in quanto dichiara, in complicità con gli Stati Uniti d’America, guerre in mezzo mondo? Quindi sono questi elementi che ci fanno diventare elementi sensibili. E quindi se questi elementi venissero rimossi noi vivremmo più tranquilli, più in pace, senza rischiare attentato alcuno.
Riferendomi a questo devo ricordare che fra quattro anni noi saremo inseriti e faremo accordi con un’area di libero scambio mediterraneo.

Con quale faccia noi ci presenteremo ai nostri amici rivieraschi – arabi, algerini, marocchini, tunisini, kurdi, ciprioti, palestinesi – quando il nostro territorio è diventato un territorio di guerra, quando lo Stato italiano sta progettando all’interno della base militare di Quirra il più grande aeroporto militare europeo per azioni di attacco, per andare a bombardare e uccidere quegli amici con cui noi dovremmo andare a stipulare accordi economici, accordi culturali, accordi di partenariato, accordi di pace?
Custa est una contraddizione assurda, inconcepibile per un Popolo che non ha mai dichiarato guerra a nessuno. Per un Popolo che sta dimostrando le sue necessità di ripacificare tutta l’area mediterranea, per un Popolo che vuole intessere rapporti di pace con il mondo. Per noi che siamo qui a rappresentare queste esigenze emergenti.
Paradossalmente la classe politica sarda è indietro rispetto alle esigenze popolari. Lo dimostrano le manifestazioni di questi giorni su tutti i fronti, a tutti i livelli, a partire dai pescatori che vogliono il risanamento, che vogliono l’eliminazione di queste servitù.

Allora chiedo che noi, rappresentanti eletti, legittimi, di questa Nazione, di questo Popolo, ci pronunciamo perché è doveroso pronunciarsi e dare indicazioni alle nostre genti ma soprattutto ai popoli confinanti con la Sardegna, al mondo intero: noi non siamo qui per subire né l’imperio americano né le necessità e le voglie guerresche della Nazione italiana. E dobbiamo testimoniarlo. Dobbiamo metterlo agli atti storici.
Noi non possiamo, noi non vogliamo che i nostri figli leggano, perché tra pochi anni questi atti diventeranno storici, quel che succede alle popolazioni di Quirra, alle popolazioni del Sarrabus-Gerrei, alle popolazioni de sa Maddalena, di Capo Teulada, cioè a tutte quelle popolazioni che rientrano in quei 44.000 ettari, il 60% delle servitù militari italiane che risiedono in Sardegna. Sono numeri impressionanti, inaccettabili.
Ma non è accettabile una riduzione delle basi italiane sull’Isola: noi non vogliamo, come indipendentisti, come appartenenti al movimento iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna, che neanche un metro della Nazione sarda sia in mano a qualcun’altro.

C’è uno slogan che dice “abbiamo già dato” e in nome di che cosa abbiamo già dato? Abbiamo dato 13.000 morti, un paradosso assurdo, per la liberazione della Nazione italiana. Tredicimila sardi sunt mortos per liberare l’Italia. Cosa dobbiamo dare ancora?
Abbiamo da dividere il nostro territorio con la Nazione italiana? No. Noi non vogliamo che manco un metro quadro del suolo di Sardegna sia occupato da nessun’altra nazione al mondo. Né americana né, tantu pius pagu italiana.
Dobbiamo riscrivere la storia, perché i nostri figli – spero che nascano sani, molti sono nati deformi – non chiedano mai ai loro padri: “pro ite so’ goi? Perché sono nato deforme o perché sono nato sano e voi siete stati zitti?”.

Vorrei chiedere la sofferenza di quelle donne che dietro le basi militari, candu tirat su ‘entu de maestrale, nel Salto di Quirra ma soprattutto nell’Oristanese dove c’è la più grande base militare dell’aeronautica italiana il numero sta crescendo in modo esponenziale, non di bambini nati male, ma di aborti terapeutici. Perché all’interno del loro seni contengono mostri nati dalle aberrazioni e dalle sperimentazioni militari che noi non sappiamo di quale entità siano, di quale qualità siano.

E allora devimus narrer no a questo sfregio eterno che stanno subendo le nostre popolazioni, i nostri territori, i nostri animali. Tutto questo sta succedendo oggi, oe sunt bombardende, a Quirra, a Capo Frasca, a Capo Teulada. Stanno preparando chissà quale esperimento a La Maddalena e nois semus inoghe, rilassados.
Noi dobbiamo compiere atti fortissimi, che lo dica Soru o che non lo dica. La Provincia di Sassari oggi deve pronunciarsi, energicamente, che sia di destra, che sia la sinistra, che siano gli indipendentisti ma nde deppet bessire cust’ipotesi unitaria. Dobbiamo arrivare ad una sintesi che rimanga agli atti della storia perché la storia lo pretende. Anche rispetto a quei morti che troviamo dipinti in queste nostre sale.
Quindi est inutile mantènnere ancora cust’istadu de rassegnazione. La miglior forma per uccidere un uomo è lasciarlo vivo nelle condizioni che stiamo vivendo oggi, oe, inoghe, e cioè rubargli l’anima, rubargli la sua dignità, la sua aspirazione di essere libero nel consesso mondiale.

Questa cappa di rassegnazione che ci sta schiacciando, che ci sta facendo diventare nani rispetto al concetto di giganti ki nois amus semper dimostrato al mondo. Noi sardi siamo bassi di statura ma come entità morale abbiamo lasciato tracce nel mondo ke gigantes. E oggi noi dobbiamo torrare a esser lìberos, sto percependo questa necessità di dire la nostra.

C’è questo brivido caldo che sta affascinando la Sardegna, che sta attraversando in termini orizzontali tutte le classi sociali e tutte le formazioni politiche, de custa ripresa di coscienza, di ripresa di conoscenza della nostra storia, di ripresa della capacità di agire e interagire col mondo da Nazione libera. Io credo in una Nazione indipendente e dobbiamo cominciare a percorrere questo viaggio.

Non voglio dilungarmi ancora, anche se c’è molto da dire in questo senso.

Quindi chiedo a questo Consiglio che trovi una formula unitaria affinché si dica no, mille volte no, a qualsiasi invasione esterna, a qualsiasi lesione di sovranità del nostro Popolo e soprattutto dei nostri territori. Si dica no a calesisiat limitazione di libertà.
Così noi daremo la traccia, l’educazione culturale, storica, passionale. Noi che dovremmo essere padri di altre generazioni dobbiamo lasciare custu tipu ‘e traccia e incamminarci come io vorrei e come molti esempi di altre nazioni ci danno… Sicuramente questo non sarebbe mai successo a Malta in quanto è una nazione libera nel consesso mondiale.

E quindi, con questo e per questo, il nostro sogno e il nostro agire deve essere verso una Repubblica sarda indipendente, libera, che decida in forma autonoma e in rapporto di pace con tutti i popoli mondiali. Grazie, ho finito.

26/10/2005

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Isgàrrica s’artìculu: 2005-10-26 – Bases militares istranzas

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