Aldilà delle questioni tecnico-organizzative e dei grandi temi come la concertazione della politica estera, la due giorni del summit dell’Unione Europea sulla riscrittura del Trattato costituzionale si conclude con un accordo tra le parti in causa che segna un ulteriore e grave passo verso la definitiva negazione di uno dei diritti fondamentali riconosciuti da tutti i trattati internazionali precedenti: il diritto all’autodeterminazione.
UN DIRITTO QUASI CENTENARIO
Tale inalienabile diritto fece i suoi primi passi con il Trattato di Versailles del 1919 e fu successivamente riaffermato e ampliato dall’ONU nel 1945, dal “Patto internazionale sui diritti civili e politici” del 1966, dalla “Dichiarazione sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati” del 1970 e dalla “Conferenza di Helsinki” del 1975. Per la legislazione internazionale quello all’autodeterminazione è un diritto “supremo, irrinunciabile e generale”, cioè non può essere derogato da altre convenzioni internazionali e prevale sul diritto interno degli Stati.
COME SI OCCULTA UN DIRITTO
Ma gli accordi scaturiti dall’odierno vertice UE vanno in tutt’altra direzione. Già nella prima stesura di quella che ci è stata propinata come “Costituzione Europea” il diritto all’autodeterminazione era sostanzialmente non previsto.
Oggi, dopo le pressioni particolarmente vigorose del premier inglese uscente Tony Blair, l’UE ha accettato che il Trattato costituzionale europeo tenga la “Carta dei diritti fondamentali” in una sorta di limbo. La Carta ad esempio afferma la non discriminazione delle minoranze nazionali, assicura la diversità culturale e linguistica e riconosce tutti i diritti sanciti dai Trattati internazionali, compreso il diritto all’autodeterminazione: “tutti i popoli devono poter stabilire in piena libertà, quando e come lo desiderano, il loro regime politico senza ingerenza esterna e di perseguire come desiderano il loro sviluppo economico, sociale e culturale”.
Per onestà dobbiamo assolutamente rimarcare come non sia solamente Blair a tentare di inibire il diritto all’autodeterminazione e gli altri diritti umani e sociali previsti dalla Carta. Dal canto suo la Corte Suprema Canadese, valutando le rivendicazioni di indipendenza del Québec ha recentemente riformulato i limiti di tale diritto riconoscendone la facoltà esclusivamente alle ex colonie, ai popoli dominati militarmente e a gruppi sociali “cui le autorità nazionali rifiutino un effettivo diritto allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale”.
I VECCHI STATI TENGONO DURO E ALTRI NE ARRIVANO
Il summit di Bruxelles ci può aiutare anche a sfatare due famosi stereotipi. Il primo è quello che vedrebbe i vecchi Stati-nazione indeboliti e sull’orlo dello sgretolamento della loro coscienza “nazionale”, il secondo è quello che condannerebbe i piccoli Stati o le piccole nazioni senza stato all’impossibilità di giocare il loro ruolo in prima persona nel consesso europeo e mondiale.
A dimostrazione del loro attaccamento ad una forte identità nazionale grandi Stati come la Gran Bretagna e l’Olanda hanno chiesto più poteri per i parlamenti nazionali e più limitazioni alle competenze dell’UE.
E fra i temi affrontati nelle sessioni di lavoro il Consiglio Europeo ha espresso il proprio sostegno all’adesione di Malta e Cipro all’Euro, prevista dal primo gennaio 2008.
LA PATRIA DEI DIRITTI UMANI
L’Europa democratica, la “patria dei diritti umani”, quella che per esempio consente che uno Stato membro come la Spagna illegalizzi partiti politici baschi indipendentisti e nonviolenti o tenga in prigione leader politici come Otegi per reati d’opinione, si è posta anche altri obiettivi sintomatici.
Tra le proposte della Cancelliera tedesca Angela Merkel c’è stata quella di far approvare il nuovo Trattato senza ricorrere a quel referendum che ha creato non pochi problemi al cammino della “Costituzione” e che per alcuni Stati, come l’Irlanda, è un dettato costituzionale.
Siamo di fronte ad un ennesimo restringimento della democrazia, ad un tentativo di resuscitare un Trattato costituzionale nato già morto nel 2005.
LA PROSPETTIVA INDIPENDENTISTA
iRS ha aderito nel 2005 al manifesto internazionale contro la “Costituzione Europea” organizzato dal CCSI – Comitat Català de Solidarietat Internacionalista e ha partecipato alla Conferenza internazionale tenutasi a Barcellona dal titolo “No aquesta Constituciò Europea”, per un’Europa dei popoli, che ha visto la partecipazione dei deputati europei Bernat Joan (Esquerra Republicana de Catalunya) e Koldo Gorostiaga (Batasuna), e dei responsabili di Sinn Féin e Corsica Nazione nonché del senatore italiano Mauro Bulgarelli.
A due anni di distanza le posizioni dell’indipendentismo europeo rimangono invariate. iRS non è pregiudizialmente contrario ad organi politici e amministrativi sovranazionali europei ma pone il cruciale tema della loro effettiva democraticità, della pluralità e della rappresentanza delle realtà nazionali sinora escluse le quali devono avere il diritto di parteciparvi in prima persona e non come periferie di altre nazioni.
Come discusso durante la prima “Conferenza Mediterranea delle Nazioni Senza Stato” di Barcellona, nel novembre 2005, iRS rilancia la proposta di un organismo internazionale mediterraneo che, riavvicinando sponde da sempre profondamente interconnesse, attraverso il dialogo e il confronto, possa andare verso la risoluzione delle gravi incertezze e delle crisi internazionali e degli enormi divari economici e sociali che caratterizzano l’attualità.
25/06/2007
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Isgàrrica s’artìculu: 2007-06-25 – Il vertice UE occulta il diritto all’autodeterminazione
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