La vicenda della mancata celebrazione della messa in sardo a Cagliari nei giorni scorsi è, al di là di tutto, un fatto importante.
Da un lato l’iniziativa della Fondazione Sardinia, e la risposta delle persone, è servita a testimoniare con forza che una parte sempre più ampia della società sarda è decisa a riappropriarsi in pieno della nostra lingua nazionale, levandogli quel ruolo marginale e folklorico che le è stato assegnato per farla vibrare nei momenti più alti, ufficiali o sacri che siano.
Da un altro lato questo tipo di iniziativa ci mostra tutti i limiti della nostra attuale condizione: vale a dire come la Sardegna autonomistica ci abbia portato al paradosso di una Sardegna in cui la cultura sarda è stata rimossa e non ha alcun valore effettivo.
È solo quando si provano a fare le cose in modo diverso, quando si prova a farle con sincero amore per la nazione sarda, che ci si rende conto di quanto sia andato avanti il processo di snazionalizzazione della Sardegna; quanto siamo stati espropriati e abbiamo lasciato che ci espropriassero della libertà di costruire un nostro modo di vivere; quanto i dirigenti della Sardegna (coloro che dovrebbero dirigere la gente così come coloro che dovrebbero dirigere le anime) siano ancora lontani dal farsi sostenitori attivi, in qualunque sede, del valore e della dignità della nostra cultura nazionale.
Non vi è dubbio infatti che una spinta decisiva alla costruzione di una nuova coscienza nazionale potrebbe e dovrebbe venire anche dai rappresentanti della fede, che dovrebbero sentire profondo il legame con il popolo sardo. Come è già successo in passato nella nostra terra, come è successo di recente in altre realtà europee, in cui i rappresentanti della chiesa si sono apertamente impegnati nell’affermazione della sovranità nazionale dei rispettivi popoli.
È stato giustamente detto che è un controsenso che ad Alghero si possa celebrare la messa in catalano mentre a Cagliari non lo si possa fare in sardo. In realtà questo paradosso mette ancora una volta in luce il profondo rapporto fra rinascita linguistica e costruzione della nazione, fra lingua e autodeterminazione. Va ogni volta ricordato infatti che il parlamento catalano ha votato di recente, con il 90% dei consensi, una proposta di Statuto che definiva la Catalogna una nazione e il catalano lingua nazionale, e che ancora la settimana scorsa 700.000 (settecentomila!) persone sono scese in strada a Barcellona affermando proprio in quanto nazione la sovranità sulla gestione sulle proprie infrastrutture.
Quando una collettività, dalla gente comune fino alle classi dirigenti, sa mobilitarsi con tale forza e senza alcuna paura di associare i risultati pratici con un obbiettivo politico generale, tutto diventa possibile. E questa è un’altra importante lezione.
Franciscu Sedda
Esecutivo Nazionale iRS
17/12/2007
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Isgàrrica s’artìculu: 2007-12-17 – Messa in Sardo e la mancata celebrazione
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