di Simone Belfiori
Sono preoccupato. In realtà lo sono sempre stato, nulla di nuovo sotto il sole. Ma si sa, gli idealisti come me sono dotati di un’irrazionale pulsione alla fiducia, anche quando tutti gli elementi giocano a sfavore e non c’è nulla, ma davvero nulla che possa far pensare ad un miglioramento di una situazione. Del resto, nello scenario attuale, non soltanto italiano ma mondiale, a trovar un fattore seriamente positivo si fa gran fatica, e la si fa da un po’. Diciamo dalla rivoluzione francese in poi. Ma no, esagero dai.
Comunque sia, non sono preoccupato perché ha vinto Berlusconi. Anzi, son quasi contento, dato che con il suo ebete sorriso, incontrovertibile metafora del gaio ottimismo del mondo mercantile, ci condurrà più presto di altri verso il declino, e forse dalle ceneri di un sistema che fa acqua da tutte le parti si potrà setacciare qualcosa di valido. Però sai, magari vai a pensare che la massa una volta tanto ti smentisca e non faccia esattamente il gioco delle parti, di entrambe le parti, di quelle parti che sono così uguali tra loro e che non aspettano altro che gli si consegnino nuovamente le chiavi del potere. Il Popolo della Libertà e il Partito Democratico, per un bipolarismo all’anglosassone anche in Italia, ancora imperfetto ma già perfetto così per quello che mi riguarda. Il resto son solo dettagli. Magari qualcosa di diverso nei loro programmi ce l’avranno pure, ma è come parlare di mal di denti all’ospedale oncologico.
C’è tanto che accomuna questa squallida classe politica, che accomunava la vecchia e che farà stringere in un amichevole abbraccio anche quella futura. Tutti credono al Verbo del mercato, dello sviluppo, dei Diritti Umani, dell’ideologia del lavoro; al sistema bancario e alla grande finanza, alla “finanza creativa” ed alle finanziarie, alla grande distribuzione, alla globalizzazione ed alla democrazia rappresentativa, all’Occidente unito e tutto uguale, alla pubblicità e alla circolazione di moneta, al bipolarismo ed agli Stati Uniti, all’Europa di Bruxelles, alle “riforme istituzionali”, al liberalismo in salse varie, alla fine delle ideologie, al modello tedesco, anglosassone e al modello che volete fuorché un modello alternativo, al post-tutto fuorché al post-modernismo. Non c’è nessuno che osi superare quelle categorie di pensiero così maledettamente moderne. Del resto, non si può e non si potrebbe, perché andare fuori anche da soltanto uno dei binari sopramenzionati significherebbe lo scardinamento di un meccanismo che assicura alla stessa classe politica il suo mantenimento, sociologico ed economico.
La politica attuale, si sa, si basa sul clientelismo, sul lobbismo, sulla connivenza con la grande finanza e la classe dei banchieri. E’ un sistema chiuso che si autoalimenta, distribuisce favori, appalti, posizioni in cambio di voti e appoggi del più svariato tipo, spartisce il potere soltanto con l’apice ed il vertice economico di una piramide di milioni di illusi. E la gente non sa, e vota. E se vota un motivo ci sarà. E io che credevo stavolta in una grande astensione, frutto delle delusioni ripetute e di un evidenza talmente eclatante (scandali, malgoverno, recessione, vicende giudiziarie, promesse non mantenute, grillismo e “antipolitica”, ingiustizie e divario sociale) da non poter non proiettare il suo riflesso alle urne. Il mio alter-ego dei cartoni animati disegnava addirittura uno scenario buffo e paradossale, dove il popolo (che da oggi ufficialmente non esiste) – gran furbetto e malandrino – faceva un bel dispetto et voilà! Viene fuori un bel 48 per cento alla Sinistra Critica, o a Bertinotti, o – orrore degli orrori – a Forza Nuova. Che poi, non ho dubbi che questo sistema fagociti tutto, perché il problema non è in uomini nuovi o moralmente integri, immuni da compromessi e dall’odore dei soldi, ma nel sistema stesso e nel denaro stesso che ne è linfa. Se non scorre la linfa, il sistema muore e il suo cervello (i governanti) non si alimenta.
Si sa che il cervello non può star senza sangue per più di 5 minuti. Però chi lo sa, magari qualcosa di curioso verrebbe fuori. No, l’Unione Europa che bacchetta a destra e a manca per la democrazia in pericolo non è una cosa curiosa. Però lo diceva già Gaber, che se vincono troppo quelli di là, viene fuori una dittatura di Là, se vincono troppo quelli di qua, vien fuori una dittatura di Qua. La dittatura di Centro invece? Quella agli Italiani va bene. Ma, un attimo, il centro è l’UDC, è Casini, direbbe il “popolo”. Ma quale Casini, poveretto, lui è solo il centro di un centro più grande. Siamo tutti in buca, cari amici. Il centro è un idea, è un concetto statico di quella che oggi è la vera anti-politica, l’essenza dell’esclusione del cittadino da una qualsivoglia partecipazione con l’inganno di un voto ogni 5 anni, che rimane un suo “diritto”, l’unico e il più inutile. E’ il mezzo con cui gli si da a bere la faccenda della democrazia. Il centro è l’unico grande calderone che racchiude tutta la politica attuale, è il credere in talmente tante cose tutti quanti, e si tratta di cose così fondamentali, che non c’è fuga da un unico polo, da un unico pensiero che attira tutto come un buco nero. La cosa triste è il continuare ad avere una stolta fiducia in una massa che va a votare e se parli pure con quelli che ritieni intelligenti ti ripetono che “il voto è un tuo diritto”, che è “troppo importante”.
Magari questi stessi intelligentoni votano Veltroni perché se no vince Berlusconi, e Berlusconi è un mafioso, fa le leggi per sé, controlla l’informazione e via discorrendo. Già, perché è quello il problema! O meglio, è anche quello ma non è solo quello. Ma chiedere alla massa di non votare Berlusconi perché oltre ad un soggetto ambiguo dal punto di vista giudiziario è l’emblema italiano di un liberismo e di uno sviluppismo che sta mandando alla rovina il pianeta terra è davvero pretendere troppo. Nessuno sa ed ha mai saputo cosa vogliano dire entrambe queste cose, e non posso farne una gran colpa alla signora del piano di sopra, a mio padre che lavora tutto il giorno o al mio vicino che vota per simpatia come si fa il tifo per una squadra di calcio. Anzi no, a quest’ultimo sì. O forse dovrei farne una colpa anche ai primi due? Documentatevi, leggete, informatevi, mi verrebbe da dire. Già, ma lavorando tutto il giorno come si fa? Una sola cosa è imperdonabile, e assolutamente ingiustificabile però: lo smettere di pensare e farsi pensare dalla testa degli altri. Pensare ci è ancora concesso, almeno.
Non è meglio chi vota Veltroni perché ci crede, uno così è proprio scemo, e mi perdoni chi legge. Non parliamo di chi vota Berlusconi perché meno male che Silvio c’è, salvaci tu e così via. Il fatto è che la massa ? è un dato di fatto ? è immersa nelle difficoltà e nei problemi. Viviamo già di per se in una società depressiva, come dice De Benoist, in uno schiacciante meccanismo dove gli idioti vivono per lavorare, e i poveracci lavorano ancora per vivere, ma sono costretti a lavorare troppo e male. Nel contempo, sempre più non lavorano perché non ce n’è o lavorano a rate, a termine o si piegano alla flessibilità del mercato. Perché anche quel simpaticone di Cecchi Paone l’ha detto, che ci vuol più flessibilità, più mercato, più sviluppo. E magari anche mia mamma, che mi sente imprecare contro il precariato e si preoccupa perché non ho e non c’è lavoro, e non c’è sicurezza di un futuro, vota il Popolo della Libertà. Valle a spiegare perché le cose non possono cambiare con un nuovo governo, ed ancor meno con quel governo là. A lei e ad altri milioni di italiani. Che gli italiani sono gente concreta, si accontentano di poco, una promessa di tagliare le tasse, di alzare gli stipendi, di un generico sostegno alla famiglia e tante altre mirabilie. O come dice la stampa tedesca, han votato Berlusconi perché unico credibile interprete di un populismo in uno scenario di generale pessimismo.
Se intervisti un italiano e gli chiedi come fare per risollevarci, ti risponde con l’ingenuità di un pirla: “alzare gli stipendi”. Ma bravo, il genio dell’economia, il messia che aspettavamo. La soluzione è lì, a portata di mano. Si capisce a che livelli siamo, se uno risponde così e poi gli diamo anche il diritto di voto. Ci occupiamo dei ladretti di galline, rimproveriamo il vicino perché ha parcheggiato male o il coinquilino che alza lo stereo, ci zittiamo al primo biscottino e ad un piccolo sollievo in denaro, deridiamo e condanniamo i nostri potenziali e veri salvatori, i presunti terroristi e i delinquenti. Accettiamo la spazzatura in casa, guardiamo il Grande Fratello, compriamo i canali a pagamento di Premium Gallery, mangiamo da McDonald e nel frattempo si decide delle nostre vite. Ci divertiamo, distratti appositamente da gioconi e gingilli mentre là fuori tuona. Ma abbiamo il diritto di voto. Non potremmo mai capire che se abbiamo problemi è colpa delle banche, al massimo siamo capaci di fracassare la macchinetta del caffè se si mangia un euro.
L’unica combattività, quella stupida, animalesca, che non richiede informazione. Ladretti di galline, i nostri nemici. E votiamo, senza sapere nulla di nulla, né dove sta il vero potere, né cosa bisognerebbe fare per cambiare, ovvero tutto tranne votare. Autoproduzione di beni e autoconsumo, accorciare la filiera produttiva e privilegiare il locale, uscire dal mercato e aiutare l’economia informale, quella tra i vicini. Boicottare le banche, la grande distribuzione e le istituzioni sorde. E tante altre cose. Ma cosa sto dicendo! Sono pazzo. Vabbè, da sardo, mi tengo la spazzatura in casa che mi hanno portato dalla Campania. Se mi incazzo e fracasso il cranio ai responsabili sono un delinquente. Un po’ come se scagazzassero nel tuo giardino e tu non fossi autorizzato a legnarli sulla nuca. Un po’ come i palestinesi, che subiscono dalla notte dei tempi le più orribili angherie, poi si fanno esplodere e sono terroristi. E votiamo. Ora in parlamento sono tutti amici di Israele. Basta con gli antisemiti, era ora! Viva la democrazia.
L’altro giorno ero in un grosso centro commerciale, forse il più grosso del campidano. Hanno creato un “centro di intrattenimento per famiglie”, dove il popolino, la massa, la plebe va a passare la domenica e accorre in gran flusso dai paesi limitrofi. Come la tv, senza l’accorrere però. Tutti in fila, una fila spaventosa, spasmodica, dietro a quelle macchinette con le pinze che non stringono e che dovrebbero acchiappare i pupazzi. Una volta su venti tentativi qualcuno prende un pupazzo. Esce soddisfatto, avanti un altro (euro). Tutti in fila, ma tanti. Come al seggio elettorale.
Tutti hanno diritto al voto, che “è molto importante”. Tutti “consumano” il voto-euro. Tutti “partecipano” alla politica-mercato, e son contenti così. Qualcuno è contento, è tranquillizzato dal suo giocone, dal suo Bart Simpson di peluche. Qualcuno si allontana arrabbiato, dice che è una truffa e che la pinza non si chiude, ma il suo euro ce lo mette lo stesso. Tutti però sono contenti, erano al centro di intrattenimento per famiglie. I più contenti sono i politici-banchieri, che incassano voti e denaro. Si torna a casa, l’Italia è sempre uguale, il mondo pure.
Ora potrei dire cosa ci rimane da fare, ma ci voglio ancora pensar bene. Ho quattro o cinque teorie, tutte possibili, ma per qualcuna potrei finire al gabbio. Aspetto ancora un po’. Voto iRS alle prossime regionali e mi godo la mia Sardegna per ora.
Centro Studi Opifice
16/04/2008
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Isgàrrica s’artìculu: 2008-04-16 – Sono preoccupato. Articolo di Simone Belfiori
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