Sardegna, Paradiso degli inceneritori. I retroscena, i dati e i danni della politica sui rifiuti

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12/05/2008

A pochi mesi dalla pubblicazione di uno studio del Censis che dichiara che la popolazione Sarda ha i parametri peggiori sulla salute in Italia e tra i peggiori in Europa, i nostri politicanti autonomisti hanno la brillante idea di regalarci un altro bellissimo inceneritore.

Sarà costruito nella zona di Fiume Santo in sostituzione di quello precedentemente previsto ad Ottana, ma respinto dalla popolazione.

Alcuni lo chiamano impropriamente termovalorizzatore, visto che gli unici modi per “valorizzare” un rifiuto (secondo le direttive UE) dovrebbero essere prima di tutto il riuso e poi il riciclo, mentre l’incenerimento (anche se con recupero energetico) costituirebbe semplice smaltimento e sarebbe dunque da preferirsi alla sola discarica controllata.

In Sardegna vengono inceneriti già il 25% dei rifiuti. Sembrerebbe una percentuale irrisoria, ma confrontiamola con le percentuali di altri Paesi.

USA 10%, Germania 20%, Austria 10%, Spagna 4%, Inghilterra 7%, Finlandia, Irlanda e Grecia 0%. Abbiamo anche paesi come l’Olanda dove la percentuale è più alta (33%), ma che comunque sta attuando una serie di provvedimenti che puntano a ridurre il conferimento in discarica di rifiuti recuperabili, con l’inserimento di cauzioni o riconsegna di bottiglie di vetro e di plastica presso i punti vendita.

Questo dimostra che l’inquinamento non è l’unico dato legato all’incenerimento, ma la percentuale della sua utilizzazione da un indice inequivocabile di civiltà e sviluppo di una nazione moderna.

Ovvero, il cittadino dovrebbe essere il primo a cambiare le proprie abitudini, dando un contributo attivo nell’utilizzare al meglio lo strumento “raccolta differenziata”, ma è lo Stato che deve incentivare e creare i giusti presupposti.

Ma torniamo a casa nostra e poniamoci la domanda: perché se in tutto il mondo si cercano alternative e si dismettono gli inceneritori qui si vogliono costruire?

La risposta come sempre è semplice e scontata. Per denaro.

È noto a tutti lo scandalo dei CIP 6. Sono incentivi che permettono, per otto anni dalla costruzione dell’inceneritore, di vendere l’energia elettrica prodotta al GSE (Gestore Servizi Elettrici) ad un costo triplo rispetto a quella prodotta da metano, petrolio o carbone, che poi ci ritroviamo in bolletta nella misura del 6-7%.

Questo perché l’energia prodotta da tali impianti, per il D.Lgl n.387 del 2003, viene riconosciuta come rinnovabile.

Cosa assolutamente contraria alla direttiva europea 2001/77/CE, che considera rinnovabile solo la parte organica di rifiuti, classificando la restante come semplice forma di smaltimento.

Ciò ha portato la Commissione Europea ad avviare una procedura di infrazione contro l’Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici considerandoli “fonte rinnovabile”.

Nella finanziaria del 2007 sono stati cancellati tali incentivi lasciando validi solo quelli agli impianti già in funzione o autorizzati.

Quindi verranno ridotti fino ad esaurirsi nel 2015, o al più tardi nel 2021. A seguito di ciò il costo dell’incenerimento non sarà più conveniente, diventandolo però il riciclaggio o anche la semplice discarica.

La domanda quindi è: che senso ha costruirli ora quando sappiamo che tra pochi anni non avrà più senso farlo neppure dal punto di vista strettamente economico?

L’altro incentivo a queste industrie sono i così detti “certificati verdi”.

In poche parole si tratta di certificati che corrispondono ad una certa quantità di emissioni di CO2. Questi vengono dati alle industrie che producono energia da “fonti rinnovabili” e che immettono una minor quantità di CO2 rispetto ad un’industria che lo avrebbe fatto producendo energia tramite fonti fossili.

Gli inceneritori rientrando, secondo la legge italiana, tra i produttori di energie rinnovabili posseggono tali certificati e ne traggono ulteriore profitto rivendendoli. Si tenga in considerazione che tali profitti possono raggiungere anche più del 40% sul guadagno totale.

Tutto ciò si è cercato di mascherarlo lanciando false emergenze rifiuti, che agli occhi del cittadino giustificano la costruzione di tali impianti.

Impianti che tra l’altro producono uno scarto di circa il 30%. Uno scarto composto da ceneri tossiche e fortemente inquinanti, per cui bisogna comunque trovare o costruire discariche sicure e di volumi sempre maggiori.

È difatti noto il problema delle discariche sarde, ormai piene, dove vengono stoccate le ceneri di Tossilo e del Casic.

Alcune società del nord Italia che producono prefabbricati hanno cercato di riutilizzare le ceneri per la produzione di calcestruzzo, ma degli studi hanno dimostrato la tossicità di alcuni di essi contenenti scorie.

Mentre invece, adottando una seria raccolta differenziata, dopo il processo di selezione del rifiuto si ha una percentuale di indifferenziabile del 15% max.

Che comunque non è ne tossica ne inquinante. È semplicemente inerte.

Quel 15% alcune imprese lo cercano disperatamente, perché da esso ne producono sabbie sintetiche che vengono ampiamente utilizzate in edilizia.

Un esempio è il piccolo Centro di Riciclo Vedelago che impiega al suo interno ben 64 dipendenti con uno stipendio di 1500 euro al mese e tutto questo senza veleni, filtri o camini, dando impiego alla popolazione locale e serenità alle famiglie.

La stessa imprenditrice dichiara di non riuscire a produrre buoni quantitativi, rispetto alla richiesta del mercato, per mancanza di materia prima.

Pensate quanti potenziali posti di lavoro nella nostra isola.

Per non parlare dei posti di lavoro che darebbero le industrie di produzione di compost, di riciclaggio della carta, della plastica, dell’alluminio. Già dell’alluminio, l’unica materia completamente riciclabile per un numero infinito di volte.

Finalmente potremo finirla di estrarlo dalla bauxite, che oltre a produrre milioni di tonnellate di fanghi rossi all’anno, ha un altissimo dispendio di energia.

Il rifiuto diventa una risorsa.

Diffidate di gente come il prof. Veronesi, che sfrutta la sua notorietà, che non è sinonimo di autorevolezza, per andare in tv a dire che l’impatto dei termovalorizzatori sulla salute è “assolutamente zero”. Spero sia stata una dichiarazione in buona fede, visto che il suo primo lavoro è quello di politico e di uomo d’affari.

Esistono centinaia di studi che dichiarano una stretta correlazione tra la distanza dagli inceneritori e l’aumento di malattie polmonari e tumorali. L’ultimo è stato dell’Ordine dei Medici della Francia, ma ci sono studi del CNR, dell’Istituto Superiore di Sanità, etc. Ma in fondo non ci vuole un medico per capirlo.

Prendiamo Cagliari. L’Apat (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici) nel 2004 dichiara che la struttura di Macchiareddu emette 1,2 microgrammi di diossina all’anno, che tradotto in picogrammi al giorno diventa 3.287.671.200.

La quantità tollerabile da un uomo di media corporatura è di 140 picogrammi al giorno. Cioè vuol dire che solo il Casic produce una quantità di diossina tollerabile da più di 23milioni di persone. Per la cronaca in Sardegna ne vivono circa 1milione e 600mila.

Questo è dovuto al fatto che l’80% del particolato è composto da nanoparticelle al di sotto di 0,1 micron, che neppure le tecniche più avanzate di filtraggio riescono a trattenere, senza contare che non possono neppure essere monitorate dalle apposite centraline di rilevamento.

Quindi diffidate da chi vi dice di non aver paura. Ultimamente tutti si riempiono la bocca prendendo come modello il termovalorizzatore di Brescia. Dicono sia il più moderno al mondo.

Oltre ad essere stato coinvolto già in due violazioni di direttive europee, è noto che le campagne circostanti sono fortemente inquinate da diossina e metalli pesanti.

Un altro esempio è quello di Terni (ristrutturato nel 1998) che nel 2008, per aver nascosto emissioni gassose pesantemente fuori norma e scarico di acque con concentrazioni altissime di metalli pesanti e diossine, è stato posto sotto sequestro. Sarebbero inoltre stati bruciati persino rifiuti radioattivi di origine ospedaliera e non.

Questo è un altro problema. Chi ci garantisce l’origine dei rifiuti bruciati?

Secondo dati del Sisde e del Noe parte dei rottami ferrosi che arrivano in Sardegna provengono da centrali nucleari dimesse dall’est europeo. Senza contare i casi di abbandono di rifiuti contaminati che non sono di sicuro una rarità da queste parti.

È il caso di fidarsi?

Concludendo, Fiume Santo è stata riconosciuta già nel 1997 come zona fortemente inquinata in un Interrogazione alla Camera. In quella zona, secondo uno studio condotto dall’Università di Sassari, l’incidenza di malattie polmonari e di tumori risulta assai più elevata che nelle restanti parti della Sardegna.

Aprite il vostro dizionario di lingua italiana e cercate la parola “sardigna”: troverete che in antichità era il nome italiano della Sardegna e il luogo deputato ad accogliere i rifiuti e gli scarti infetti.

Vogliamo che tutto ciò accada di nuovo e continui?

Abbiamo veramente bisogno di tutto ciò a due passi da paradisi naturali come il Parco dell’Asinara?

È questa la Sardegna che un domani vogliamo vivere o lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti?

Pensateci, nel mentre noi lavoriamo con iRS per dare una Repubblica indipendente e un futuro migliore alla nostra Terra.

TzdE Energia e Ambiente

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Isgàrrica s’artìculu: 2008-05-12 – Sardegna, Paradiso degli inceneritori

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