Violenza in Sardegna. L’analisi di Bobore Bussa. Esercito o riflessione collettiva e autocoscienza?

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08 ottobre 2008

Nel recente documento dal titolo “Né eserciti, né forze di polizia ma una riflessione collettiva” il componente dell’Esecutivo Nazionale di iRS Bobore Bussa affronta il tema dei recenti fatti di violenza in Sardegna.

“È possibile oggi intervenire in modo politico – chiede Bussa – senza cercare inutilmente pseudocause legate a presunti codici di comportamento tipici e senza utilizzare categorie antropologiche superate o inadatte a spiegare la situazione sociale attuale?”.

Bussa invita tutti, indipendentisti compresi, all’autocritica: “a cosa e a chi serve che gli amministratori locali richiedano l’intervento dell’esercito? Che senso ha chiedere maggiore presenza” a quello Stato che è sempre stato “sordo alle reali necessità dei sardi?”.

Secondo l’esponente indipendentista di iRS “è arrivato il momento di una riflessione collettiva su ciò che non è stato fatto negli anni da chi ha amministrato” la nostra terra. Bobore Bussa punta il dito “sulla scuola, sugli intellettuali, sui mass media”.
“Non siamo stati in grado di infondere nei bambini e nei nostri giovani una cultura dell’autostima, della coscienza storica di sé stessi, del confronto pacifico sia tra loro sia con il mondo”.

Dalla cultura e dall’autocoscienza nazionale de sardi Bussa passa all’analisi dell’aspetto economico: “possiamo dire che la politica abbia creato le condizioni affinché si sviluppi un’imprenditoria dinamica legata alle risorse del territorio e che funzioni perché esiste un mercato da soddisfare e non perché ci sono risorse da saccheggiare?”.

“L’ingresso problematico della Sardegna nella modernità – continua Bussa – non è stato mediato da un’elaborazione intellettuale e politica all’altezza. Si è generato un corto circuito culturale che ha lasciato intatti molti luoghi comuni sul nostro conto”.

Secondo Bussa occorre ripensare “il proprio ruolo nella società sarda”, per costruirne “una diversa, migliore. Una riflessione che non lasci spazio ai modelli basati sulla violenza, sul sopruso, sullo sfruttamento.

Come indipendentisti ci sentiamo umiliati a dover ancora raccontare al mondo i non-sensi quotidiani che affliggono la Sardegna ma sentiamo il dovere morale di proporre un modello a un modo di fare politica diverso basato sulla cultura del dare, sulla cura della propria comunità”.

In conclusione l’esponente indipendentista, già tra i Responsabili di iRS-Nùgoro, afferma che “iRS sta dando alla Sardegna un nuovo modo di essere che ha abbandonato il concetto del pretendere sempre qualcosa dagli altri e dall’esterno. È arrivato il momento per tutti di dare un po’ di più, senza aspettare che arrivino esercito o polizia a risolvere i problemi di disgregazione sociale che hanno ragioni e spiegazioni molto chiare e comprensibili.

iRS, Ofìtziu de Imprenta
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Isgàrrica s’artìculu: 2008-10-08 – Violenza in Sardegna. L’analisi di Bobore Bussa
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DOCUMENTO INTEGRALE
[Disponibile anche in formato PDF]

di Bobore Bussa*

Né eserciti né forze dell’ordine, ma una riflessione collettiva.
Il punto di vista di iRS sui recenti fatti di violenza in Sardegna.

È possibile oggi intervenire in modo politico sui recenti fatti di violenza successi in Sardegna?
Probabilmente abbiamo proprio il dovere di analizzare politicamente questi fatti, senza fare inutili acrobazie nella ricerca di pseudocause, legate alla cultura dei sardi o a presunti codici di comportamento “tipici”, e senza utilizzare categorie antropologiche superate o inadatte a spiegare la situazione sociale attuale.

Abbiamo oggi il dovere, nessuno escluso, di fare autocritica. A cosa serve e soprattutto a chi serve che gli amministratori locali richiedano l’intervento dell’esercito per presidiare il territorio? Che senso ha per un sindaco richiedere una maggiore presenza dello Stato (tradizionalmente sordo alle reali necessità dei sardi) e appellarsi al ministro competente per avere più forze di polizia?
Ogni pochi mesi vengono convocate conferenze provinciali sulla sicurezza che puntualmente sono fuori dal contesto sociale nel quale si verificano i tristi fatti, come quelli degli ultimi mesi a Irgoli per citarne uno.

È evidente che è arrivato il momento di riflettere tutti su ciò che non è stato fatto in questi anni, o è stato fatto male, da chi ha amministrato la Sardegna (dal comune più piccolo, alla Regione), dal mondo della scuola, degli intellettuali, dai mass media.
Siamo stati in grado di infondere nei bambini e nei nostri giovani una cultura dell’autostima, della coscienza storica di sé stessi, del confronto pacifico sia tra di loro sia con il mondo, attraverso lo scambio dei valori migliori della cultura sarda?

Possiamo dire che la politica abbia creato le condizioni affinché si sviluppi un’imprenditoria dinamica, legata alle risorse del territorio e che funzioni perché esiste un mercato da soddisfare e non perché ci sono risorse da saccheggiare o su cui lucrare?
Possiamo riscontrare nei fatti un legame forte e positivo tra la sbandierata rivendicazione, anche istituzionale, del valore della nostra storia e della nostra cultura, e le dinamiche profonde della società contemporanea? Con tutta evidenza la risposta a questi quesiti è: no.

L’ingresso problematico della Sardegna nella modernità non è stato mediato da un’elaborazione intellettuale e politica all’altezza del compito. Si è generato un corto circuito culturale che ha lasciato intatti molti dei luoghi comuni tradizionali sul nostro conto, compresi quelli meno edificanti, senza incidere sulla formazione morale e civile delle nuove generazioni. Le dinamiche sociali contemporanee hanno dunque inciso profondamente anche nelle nostre comunità, evidentemente meno conservative e “resistenti” di quanto si creda, senza che la politica e le agenzie formative abbiano saputo mediare tra il patrimonio culturale ereditato dal passato e le pulsioni consumistiche veicolate dai mass media.

Ecco dove nasce dunque la necessità di avviare una riflessione collettiva, in cui chiunque, umilmente, e rispetto al proprio ruolo nella società sarda, ripensi a come costruirne una diversa, migliore. Una riflessione che non lasci spazio a modelli basati sulla violenza, sul sopruso e sullo sfruttamento dell’uomo e delle risorse naturali.

Come indipendentisti ci sentiamo umiliati a dover ancora raccontare al mondo i non-sensi quotidiani che affliggono la Sardegna, ma sentiamo anche il dovere morale di proporre un modello e un modo di fare politica diverso rispetto al passato, basato sulla cultura del dare, della “cura” della propria comunità e dell’ambiente in cui vive. In questo senso abbiamo fatto del “dare alla Sardegna” uno stile di vita, un modo di voler essere, abbandonando il concetto del pretendere sempre qualcosa dagli altri e dall’esterno.

Forse è arrivato il momento per tutti di dare un po’ di più, senza aspettare che arrivino l’esercito o la polizia a risolvere problemi di disgregazione sociale che hanno invece ragioni e spiegazioni molto chiare e comprensibili a tutti noi. E che noi stessi abbiamo il dovere di risolvere.

*Componente dell’Esecutivo Nazionale di iRS.

Scarica il file “08-10-08 documento Bussa su violenza.pdf”

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