09 gennaio 2009
Date le copiose e importanti dichiarazioni di Renato Soru di questi giorni, la domanda viene spontanea: siamo forse di fronte ad un nuovo Emilio Lussu?
Lo stesso Soru ci ha tenuto a far sapere che sta rileggendo la biografia del padre del sardismo (per carità, del sardismo che alla fine si buttò col centrosinistra italiano, non di quello che si buttò col centrodestra) e che da lì avrebbe avuto l’ispirazione per il parallelismo fra il paternalistico Mussolini di allora e il paternalistico Berlusconi di oggi.
Tutto molto bello. La storia si ripete con ironica puntualità: il sardismo spaccato fra chi alla fine scelse di salvare l’Italia da destra, dando vita al sardofascismo, e chi decise di salvare l’Italia da sinistra, ponendosi a capo della resistenza. Oggi i toni appaiono leggermente annacquati ma la sostanza è decisamente simile. E poi non si sa mai che i toni non si alzino davvero.
E ancora. Il capo di questo nuovo sardismo – colui che aveva fondato un partito dal nome esclusivamente sardo…qualcuno ricorda “Progetto Sardegna?” – che dice di resistere al “colonizzatore continentale” ma che in realtà afferma, nei fatti, il ruolo di fondatore e di faro del maggior partito d’opposizione d’Italia.
Il leader del nuovo sardismo che parla del nuovo PD con toni messianici: “Il Pd è una strada difficile, ma è un percorso senza ritorno. Una traversata nel deserto, come quella di Mosè. Durante la quale è necessario un leader riconosciuto che trascini il popolo smarrito”. Un’autoinvestitura a leader italiano? Vedremo. Intanto resta il fatto di un’adesione talmente profonda da non lasciar spazio a dubbi su quale sia l’orizzonte politico ed emotivo di Soru, al di là delle sue uscite sulla “piccola patria sarda”.
A proposito. La retorica della “piccola patria sarda” non deve commuovere o stupire: guarda caso la coniò il teorico del sardismo e sodale di Lussu, Camillo Bellieni. Non c’era dubbio, per loro, che la piccola patria sarda era tale proprio perché doveva “pretendere” (stessa parola usata sempre da Soru in questi giorni) attenzione e diritti dalla grande nazione italiana. Proprio come oggi.
E visto che ci siamo, un suggerimento disinteressato. Lo slogan del sardismo del 1919 era: “Prima sardi, poi italiani!”. Soru lo potrebbe felicemente resuscitare. In questi tempi di rinnovato, suicida, “orgoglio sardo”, lui e il suo PD italo-sardista non dovrebbero lasciarselo sfuggire.
La differenza, in tutta questa storia che si ripete, la fa il fatto che nel 1920 non esisteva un indipendentismo organizzato, motivato, radicato, con le idee e le passioni chiare. Noi possiamo essere quella leggera differenza che fa tutta la differenza. Perché, al di là della patina della retorica elettorale, siamo gli unici che vogliono salvare la Sardegna per salvare la Sardegna (e così dare un contributo al mondo) e non quelli che dicendo di voler cambiare la Sardegna vogliono in realtà salvare l’Italia e boh.
Continuiamo nel nostro indipendentismo nonviolento e non nazionalista. Solo così faremo il bene dei sardi e della nazione sarda. E magari alla fine salveremo anche Soru dal patetico rischio di finire come Lussu, un parlamentare italiano vecchio e solo, leader di un piccolo partito di sinistra, inutilmente seduto fra i banchi di Montecitorio. Per sua volontà sepolto a Roma, deciso a non tornare mai più in Sardegna.
Franciscu Sedda
Esecutivo Nazionale di iRS – indipendentzia Repùbrica de Sardigna
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Isgàrrica s’artìculu: 2009-01-09 – Soru, il nuovo Lussu
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