I primi giorni di primavera sono belli ovunque, sull’isola del silenzio, della pace.
Gli occhi di chi vive nella mia città, nella mia isola, brillano.
Decido di allungare il passo. Il cammino diviene quasi corsa. la discesa diventa salita. La pianura diventa collina. Alberi. Il mare. Lo vedo, da qui su due lati e la città si sdraia ovunque: meravigliosa prostituta per passione.
Mi siedo ai piedi di una statua, un sanfrancesco di moderno bronzo.
Mi sarei acceso una sigaretta, avrei fatto uno strappo alla regola autoimposta di preservare la mia gola, ma non ho sigarette con me. Pazienza.
Guardo verso nord. Davanti a me c’è tutta l’isola. Fino a Porto Torres.
Penso.
La cosa bella del tempo che sto attraversando è che non c’è più bisogno di essere dei colti, degli informati, degli intellettuali, per capire che c’è qualcosa che non va. Per capire che c’è un errore di fondo, nel concetto, nel nucleo, anzi, nella matrice del programma che imposta la nostra esistenza.
Oggi tutti riescono quantomeno a percepire questo amaro, questo fastidio, la taglia sbagliata delle mutande, il numero sbagliato delle scarpe… ecco: abbiamo le scarpe strette! Camminiamo con le scarpe che ci hanno dato, senza che nessuno ci abbia mai detto che, sì, se vogliamo il numero più grande lo possiamo prendere! E che forse possiamo anche avere il modello che ci piace di più, quello che fa cadere bene i pantaloni, quello che si intona con la cinta…
Guardo verso nord. Davanti a me c’è tutta l’isola. Fino a Porto Torres.
Penso.
Sulle mie mani ho un tatuaggio, proprio sulle nocche.
C’è scritto: FREE DOOM (Libero Destino). Una lettera su ogni nocca, pollici esclusi.
E’ un po’ forte avere un tatuaggio così prepotentemente in vista. L’ho fatto per ricordarmi cosa voglio essere nella mia vita.
In quei momenti (e capitano, uuuu se capitano) in cui mi sento pavidamente fatalista, in cui non ho il coraggio di ammettere le mie responsabilità, in cui mi sento eccessivamente auto indulgente, ebbene in quei momenti io guardo le mie mani e mi ricordo di aver deciso, un giorno di qualche anno fa, che il mio Destino sarebbe stato schiavo soltanto alla mia volontà ed a null’altro.
Guardo verso nord. Davanti a me c’è tutta l’isola. Fino a Porto Torres.
Penso.
Che belle persone, le persone della mia isola. Amate ovunque. Rispettate ovunque. Ricche di storia, di cultura, di valori, di straordinari progetti.
Il mio Destino è il loro. Il Destino del bimbo che porta in grembo mia moglie è il loro.
Nessun sardo sarà felice finché l’ultimo sardo non sarà felice. Questo pensiero, oggi, è alla portata di tutti. Che meraviglia!
Chiunque oggi sa questo.
Presto sceglieremo le scarpe da indossare. Saranno perfette e cammineremo col passo giusto.
In tutto il mondo si dirà che c’è un’isola in cui gli abitanti hanno scelto un Destino Libero, hanno scelto di mettere l’essere umano e il suo ambiente al centro di tutto; hanno capito che non si lavora per morire ma per vivere, che con la propria terra si parla, che il benessere dei figli è il benessere del nostro futuro, che essere all’avanguardia e “sporcare” sono due cose diverse, che si dice no(!) di fronte alle cose sbagliate.
Da tutto il mondo arriveranno per chiederci come si fa.
E noi, senza rispondere porteremo loro in giro per l’isola, nelle nostre case, nelle nostre scuole, nei nostri teatri e nelle nostre piazze. Loro capiranno.
Guardo verso nord. Davanti a me c’è tutta l’isola. Fino a Porto Torres.
Penso.
Sorrido.
C’è un detto giapponese che dice che se hai un desiderio forte, ma forte forte, quel desiderio si è già realizzato, è nel futuro, non lo vedi, ma c’è già.
Allora sono felice perché questo vuol dire che il Destino della mia isola è già Libero.
Torno verso casa.
Non vedo l’ora di andare a letto per sognare.
Stanotte sognerò persone felici, persone che dialogano, persone che insegnano e che imparano, persone che si abbracciano proprio come questo sole tiepido mi sta abbracciando ora.
Alessandro Spedicati
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Isgàrrica s’artìculu: 2009-06-26 – Cammino per Cagliari. Di Alessandro Spedicati
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