08/01/2010
Una classe politica votata alla mediazione col potere centrale, a protezione di privilegi suoi e altrui. Le risorse del territorio appaltate o cedute al controllo forestiero, per lo più di natura parassitaria e speculatrice. Disagio sociale, inadeguatezza dei salari al costo della vita e costante ricatto occupazionale come garanzia di condizioni lavorative scadenti. Controllo dell’informazione e repressione del dissenso. Diffuso sentimento popolare di stanchezza e desiderio di affrancamento politico.
Questa era la situazione della Sardegna cento anni fa. Somiglia tanto a quella attuale.
Le ragioni di tale somiglianza risiedono sia nella congiuntura, sia nei nodi strutturali del nostro rapporto con l’Italia, tutti ancora irrisolti.
Sappiamo come andò allora. Il sentimento popolare, che nelle manifestazioni di piazza così come nelle chiacchiere da bettola si traduceva nel motto “a fora sos continentales”, trovò una formalizzazione più precisa in seguito all’esperienza dei sardi nelle trincee della Grande Guerra. La definitiva presa di coscienza della propria diversità culturale e storica richiedeva uno sbocco politico. Il quale fu offerto dalla trasformazione del partito dei reduci nel Partito sardo d’azione. Era il 1921.
Allora si giocò una partita decisiva, per la nostra sorte collettiva. Benché la base dello stesso PSd’Az fosse largamente sensibile all’idea del distacco dallo stato italiano (allora si chiamava, in senso spregiativo, “separatismo”) i suoi dirigenti (Camillo Bellieni in primis e Emilio Lussu a rimorchio) fecero di tutto per convogliare quelle energie spontanee entro l’alveo artificioso e complicato (come spiegava lo stesso Bellieni) dell’autonomismo. Mentre nel parlamento italiano si ventilava la possibilità che la Sardegna seguisse la sorte che in quegli stessi mesi aveva portato l’Irlanda a ottenere un primo riconoscimento di sovranità, lo stesso E. Lussu, alla Camera dei deputati, si premurava di tuonare contro ogni possibile fraintendimento separatista, difendendo l’idea di una Sardegna fedele allo stato italiano, disponibile a qualsiasi sacrificio a patto di ottenere più attenzioni e più sostegno.
Si trattò, come è evidente, di un clamoroso abbaglio politico, le cui conseguenze abbiamo pagato fino ad oggi. Le premesse storiche erano di tutt’altro segno, ma qui entra in gioco quell’elemento non controllabile delle vicende umane per cui una necessità storica non è affatto detto che trovi compimento nei termini che sembrano più scontati o probabili sul momento.
Ma oggi? Oggi – a fronte di una situazione in qualche modo analoga a quella di cento anni fa, con la differenza fondamentale, forse, di una fase declinante della civiltà in cui siamo immersi e di cui facciamo parte – quali sbocchi si profilano alla nostra crisi economica, morale e spirituale?
Difendere l’autonomia come ricetta vincente in un mondo ipercomplesso e assai più dinamico di cento e di sessanta anni fa, più che miope sembra proprio irrealistico. Ma chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e assumersi la responsabilità storica di proporre un orizzonte teorico e pragmatico che risponda alle esigenze profonde della nostra collettività?
Una risposta la dà iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna. Dopo appena sette anni di esistenza e la sperimentazione biennale di una prima forma organizzativa, il 17 gennaio 2010 si compie il definitivo passaggio dalle forme spontaneistiche, emotive e politicamente ingenue dell’indipendentismo sardo tradizionale a un nuovo modo di progettare e promuovere la nostra emancipazione storica. Un movimento organizzato, democratico, inclusivo, radicato sul territorio. Una collettività di donne e di uomini che collaborano mettendo in campo le proprie energie e le proprie competenze in una rete politica dinamica ed efficiente.
La maturazione di questa forma moderna di indipendentismo e di politiche progressiste trova finalmente una veste formale e organizzativa definita.
È un momento che può risultare decisivo, nella nostra storia. Ma – nei nostri auspici – di segno contrario a quanto accadde nel 1921.
Diciamo no a quel sardismo da “nazione abortiva” che tanti equivoci e tanti ritardi ha comportato, sulla strada della nostra presa di coscienza collettiva. Rifiutiamo i giochi di potere dei partiti italiani. Mettiamo in pratica i principi di democrazia, trasparenza e inclusività su cui si è basata la nascita e l’attività del Movimento fino ad oggi.
Non è un momento importante per iRS, è un momento importante per tutti i sardi.
Per parafrasare uno dei politici più sopravvalutati del Novecento (ma dotato di acume retorico), non chiediamoci cosa può fare la Sardegna per noi, chiediamoci invece cosa possiamo fare noi per la Sardegna.
Noi ci siamo. iRS c’è.
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Isgàrrica s’artìculu: 2010-01-08 – La storia siamo noi. Riflessione storico-politica di Omar Onnis
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