L’Europa del futuro

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Europa. Una parola oggi sconosciuta in Sardegna. Anche se da questo spazio geopolitico l’Isola è sempre stata influenzata. Posta nel centro del Mediterraneo l’Isola dei Sardi ha partecipato alla storia e alla costruzione di quello che oggi si chiama Vecchio Continente.

Non siamo stati fuori da questo processo. Ne siamo stati dentro. Ma al momento questo rapporto è in crisi. E per crisi intendo due cose.

1) Crisi istituzionale: la Nazione sarda non ha di fatto rappresentanti nell’Europarlamento per una legge italiana che legalizza metodologicamente l’esclusione dei sardi dall’essere rappresentati in tale assemblea. L’on. Uggias siede oggi a Strasburgo per un atto di benevolenza di un partito italiano;

2) Crisi politica: la quasi totalità della classe politica sarda è aliena da quello che succede nelle altre nazioni senza stato europee: Corsica, Paesi Bachi, Catalunya, Scozia. Non destano interesse le modalità con cui queste realtà stanno ridefinendo i loro assetti istituzionali e politici in Europa. Ognuna con propri tempi e modalità.

Finita la Seconda guerra mondiale, si verificò nel Vecchio Continente un graduale declino delle mobilitazioni sulle “questioni territoriali/nazionali” dovuto dalla contingenza della Guerra fredda, dentro il cui spazio politico tutto era compreso, deciso e risolto. Ma quella fu una parentesi che oggi si sta lentamente chiudendo.

Attualmente la crescita delle forze politiche indipendentiste, dalla Corsica alla Scozia, sta diventando un elemento centrale nella discussione pubblica di molte nazioni senza stato. Questi processi non sono più atomi marginali nella molecolare politica europea ma stanno acquisendo una centralità decisiva soprattutto in un settore: il governo del loro spazio politico di riferimento.

Nelle nazioni senza stato europee gli indipendentisti governano, oppure hanno la forza di influenzare il quadro politico di appartenenza, a volte insieme ad altre forze politiche. In queste realtà il sistema politico è già risolutamente nazionale e spesso i dibattiti sulla sovranità, l’indipendenza, il futuro dell’assetto istituzionale europeo sono il fulcro delle campagne elettorali. Perché è dentro queste dinamiche che si specifica in che modo una nazione vuole governarsi e dove vuole andare.

E’ dentro l’asse che lega Democrazia-Sovranità-Indipendenza-Europa che si afferra il vero interesse di una nazione e si distingue il suo futuro. In questo spettro semantico si gioca la partita tra conservazione e trasformazione e si percepisce l’orizzonte di senso politico di una classe dirigente.

Le prossime elezioni provinciali in Sardegna saranno un momento in cui definiremo anche dove ci vogliamo collocare come Nazione in Europa, ovvero se il nostro futuro sarà dentro le segreterie dei partiti italiani in Sardegna o se avremo la lungimiranza di scegliere una semplice cosa: il diritto di prendere in mano il nostro destino, guardando magari a realtà europee simili alla nostra per costruire un modello di Europa solidale in cui il diritto all’autodeterminazione dei popoli sia effettivo.

Queste elezioni ci diranno se esiste in Sardegna una classe politica sarda ed europea, che attraverso il governo del territorio e la partecipazione democratica dei cittadini alla vita pubblica, centri il suo comportamento politico sui reali interessi della Sardegna. I quali non coincidono con quelli dell’Italia. Tantomeno questi interessi coincidono in un’ottica europea. Dalla questione “Bombole” alla questione “Vertenze entrate” passando per la questione “Credito”, “Trasporti”, “Istruzione” e così via, è tutto un susseguirsi di “Questioni”. Appunto. Siamo l’Isola delle “Questioni”. O meglio dei conflitti. Irrisolti.

Per questo è quanto meno preoccupante sentire in giro che si aspetta il voto amministrativo italiano per poi decidere gli equilibri delle alleanze in Sardegna. E il nostro futuro? Sarà in una alleanza politica dettata da contingenze esterne oppure sarà basato su un franco dibattito su una nuova sovranità in Sardegna capace di darci gli strumenti per progettare il nostro futuro? Sembra chiaro per cosa stiano optando i partiti italiani nell’Isola.

Non all’Europa e ai suoi processi costituenti, non alla sovranità della Sardegna e alle relazioni con le altre realtà internazionali. Ma stanno optando di stare fuori dall’Europa. Di non avere sovranità. Di non decidere aspettando il ”governo amico”. Bisogna battere “Berluscacci”. Bisogna battere i “Comunisti”.

Per tutte queste ragioni è importante capire che anche attraverso il governo del territorio si sceglie dove collocare l’Isola in Europa e nel Mondo. Queste provinciali saranno un banco di prova anche per questo. Il buongiorno si vede dal mattino. E il nostro mattino sarà il governo dei nostri territori. Non domani. Ora. Come una Repubblica verso l’Europa del futuro.

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Nello Cardenia

Coordinatore Politico Regione di Tàtari

Esecutivo Nazionale iRS

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Isgàrrica s’artìculu: 2010-03-29 – L’Europa del futuro

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5 commenti

  1. nello.cardenia on

    Ciao a tutti!

    Per quanto riguarda il paragone tra la Sardegna e le altre nazioni senza stato credo che le considerazioni di Andrea Randaccio siano giuste. Ma quello che intendevo sottolineare era il fatto che osservando i rispettivi contesti si possono estrarre due tendenze:

    1) I Partiti indipendentisti hanno un peso nella società o quanto meno influenzano il quadro politico delle loro nazioni.
    2) La prassi della non violenza è oggi accettata da praticamente da tutti e il metodo democratico è diventato la regola fondante dell’agire politico.

    Bisognerà capire che tipo di influenza avranno questi fattori sui futuri assetti istituzionali dell’Europa. Sarebbe bello discutere di questo in quanto mi sembra un argomento interessante, ovvero se un eventuale aumento dei pariti indipendentisti nei governi delle nazioni senza stato possa avere effetti politici e giuridici in Europa.

    Per quanto riguarda la questione “pro Italia”/”pro Europa” credo che entrambe definiscano già nella loro genesi due significati ben precisi: da una parte chi ha portato la Sardegna a diventare una regione periferica dello Stato italiano e dall’altra chi pensa che la Sardegna possa diventare une Repubblica democratica che condivide con gli altri popoli europei un’istituzione sovranazionale come l’Unione Europea. Sono punti di partenza e punti di arrivo molto differenti.

    L’Unione Europea è un’istituzione che possiamo definire “in movimento”: a cui la Sardegna può contribuire con la sua cultura mediterranea e facendosi capostipite delle esigenze economiche, politiche e sociali delle isole mediterranee.

    Quindi ritargliarsi un ruolo geopolitico all’interno del grande gioco europeo. Questo ruolo sarebbe un nostro interesse strategico da far pesare politicamente in Europa.

    Per quanto riguarda il radicamento nel territorio e l’esposizione mediatica di iRS credo che già molta strada è stata fatta pur consapevole che ne rimane tantissima da fare. Ogni settimana organiziamo incontri in paesi diversi e tentiamo di parlare ai sardi. E continueremo a farlo sicuramente.

    Nello
    Nello

  2. Oliver Perra on

    @ Andrea Randaccio:

    volevo inanzitutto fare una precisazione sulla Scozia: la Scozia all’interno del Regno Unito non ha un ruolo centrale nè demograficamente (rappresenta l’8% circa dell’intera popolazione) nè economicamente. Sotto diversi punti di vista la Scozia è un’area di significativa deprivazione socio-economica.

    Domenica Frantziscu Sanna ha ricordato di nuovo che iRS non cerca voti ma attivisti. Un attivista guadagnato porta un patrimonio di conoscenze, competenze ed energie che non possono che arricchire un progetto.
    Questo per dire che da una parte iRS non mira semplicemente al breve termine di questa o quella tornata elettorale, ma mira a creare una elaborazione del nostro senso di essere nazione. D’altra parte iRS non è uno di quei partiti/movimenti che ritiene che il ruolo dei cittadini sia semplicemente quello di votare e poi “essere governati”, quanto invece è importante creare modi per dare la possibilità alla società sarda di partecipare e influenzare i processi decisionali.
    Insomma, ottenere un facile consenso basato su messaggi di facile presa non è un modello che condivido e non è un modello che secondo me porterebbe a migliorare le cose sia nel breve che nel lungo termine.

    @Andrea Cocco:
    Daniele Addis ha chiarito le differenze tra i due messaggi. L’Unione Europea non è certo perfetta e ci sono diversi aspetti che non mi convincono. Ma io penso che se fossimo uno stato sovrano in Europa avremmo la possibilità concreta di influenzare diversi processi decisionali a livello europeo. Tutt’ora, negli attuali assetti, ci sarebbero diversi modi per cercare di influenzare alcune decisioni che ci interessano, ma quello che ha caratterizzato la classe politica sarda di fronte all’Europa è un completo disinteresse nella diplomazia europea e il ruolo che poteva avere nell’avanzare gli interessi dei sardi.

  3. daniele.addis on

    Andrea, Lussu e Bellieni parlavano di popolo senza storia e di nazione abortiva, cosa che in iRS nessuno fa. iRS dice che la Sardegna è europea a mediterranea e non mi sembra che ci sia modo di negarlo. L’adesione all’Europa è un auspicio motivato, ma lo si lascia dipendere dalla volontà dei sardi.
    L’Italia era ed è uno stato centralista irrispettoso della libertà dei popoli, l’Europa mi sembra differente. Poi se così non sarà nessuno ci obbligherà ad aderirvi.
    I sardisti hanno fatto, allora, da bravi autonomisti sardi, un po’ di sano terrorismo psicologico paventando morte e distruzione in caso di indipendenza. iRS questo discorso non lo fa e la differenza mi appare essere sostanziale.

    Questo è quello che penso io. Ciao ;)

  4. andrea.randaccio on

    Indubbiamente la focalizzazione su quanto avviene in paesi diversi dall’Italia può essere utile per definire in quadro generale Europeo dell situazioni che potrebbero accomunarsi a quella Sarda. Ma debbo dissentire.

    La nostra situazione non è affatto paragonabile a quanto avviene in Scozia o Catalogna per alcuni aspetti, Paesi Baschi per un altro, Corsica per l’ultimo.
    I primi due sono regioni con economie assai ben integrate negli stati nazionali nei quali sussistono, ed anche demograficamente sono aree di una certa importanza.
    I Paesi Baschi sono per alcuni aspetti più simili all’Ulster, per una presenza importante di una formazione paramilitare che invero è tristemente famosa per episodi di terrorismo piuttosto che per una democratica presa del potere.
    La Corsica, poi, ha una popolazione autoctona inferiore a quella Francese residente sul territorio dell’Isola.
    Assodato dunque che non vi sono de facto situazioni che calzino o possano essere da esempio, occorre delineare un proprio percorso.
    IRS ha coerentemente intrapreso una politica che mira, in maniera franca, coerente e senza demagogie, all’indipendenza della Repubblica di Sardegna. Ciò è condivisibile, ma non è nulla di nuovo rispetto a quanto altre formazioni indipendetiste fanno da tempo.
    Inoltre, razionalmente, verrebbe da pensare perchè l’indipendentismo non si sia riunito sotto un’unica egida al fine di massimizzare lo sforzo.
    L’esperienze fatta nel continente da una formazione esecrabile per molti (quasi tutti) gli aspetti ma estremamente efficace da un punto di vista elettorale come la Lega nord dovrebbe invece far riflettere su alcuni aspetti:
    – nel nord Italia non ci sono più leghe ma una sola, che pure a precise connotazioni regionalistiche (un leghista genovese o astigiano è molto diverso da un bergamasco o trevigiano) poi riassume il tutto in una partito monolitico
    – la Lega punta tutto su 2 aspetti: la facilità del messaggio ed il radicamento sul territorio. Il messaggio è elementare :”Le tasse del nord debbono essere spese maggiormente al nord”. Ora, paradossalmente un partito indipendentista ha un messaggio ancora più impattante “Le tasse non vanno da nessuna parte, stanno semplicemente dove vengono esatte e sono utilizzate totalmente nel territorio”
    Il radicamento sul territorio, poi, è l’altro cardine sul quale si fonda il successo elettorale leghista: utilizzando la vecchia cara tecnica del porta a porta, cardine del successo lettorale del PCI ed ora PD nelle regioni “rosse”, ha prodotto lo spostamento di milioni di voti dai partiti tradizionali, di destra e sinistra, verso una formazione politica che certo non brilla per la capacità oratoria dei suoi leader o per la fine elaborazione politica, ma è appunto efficacissima nel cogliere nel segno, interpretando il malcontento nel territorio, cavalcondolo per diventare forza di governo e quindi sedimentandosi sul territorio stesso, prendendo semplicemente il posto delle forze politiche che si riprometteva di cancellare in tutto e per tutto.

    Intendiamoci, da parte mia non reputo che il “case study” leghista sia intergralmente da applicarsi alla reltà Sarda, nè che noi siamo paragonabili ai lombardi o veneti, tuttavia ci sono degli aspetti, appunto, che dovrebbero essere presi in considerazione:
    – il messaggio “noi vogliamo l’indipendenza” è, come ho già scritto altrove, di per sè poco incisivo. Non perchè non sia di per sè un’ottima cosa, ma perchè la maggioranza dei Sardi la reputa di fatto irrealizzabile, prigioniera dell’atavico sentimento di inferiorità che portava i nostri padri a preferire farci imparare “s’italianu” piuttosto che la lingua dei propri padri.
    – IRS ha una eccellente preparazione culturale e politca (i vostri interventi ne sono la prova provata) ma la vedo onestamente in deficit di visibilità nei media, che sono la cassa di risonanza delle idee, buone o cattive che siano.
    – purtroppo in Italia lo sanno bene: senza una mobilitazione di capitali le idee non vanno avanti. Il PD si finanzia in una maniera, il PDL direttamente dalle tasche del suo padrone, tutti dalle casse dello stato. Se IRS vuole diventare una forza dapprima presente in un alveo nazionale, quindi aspirare a una realistica possibilità di portare avanti un discorso indipendentista, non può sottrarsi a questo gioco.
    – solo un massiccio movimento volontaristico e popolare, nel senso più profondo del termine, può rendere giustizia di un’ideale tanto alto. Ciò nasce da una tensione morale che sinceramente non vedo. Noi Sardi siamo narcotizzati dai media nazionali e regionali che ci trasmettono spesso una reltà dopata, nella quale le nostre esigenze sono semplicemente ignorate in quanto, appunto, non compaiono. Solo singoli casi isolati quali l’Alcoa sono presi in considerazione, perchè appunto nascono da un malessere profondo e sentito nel territorio. Forse non è aupicabile che l’intera Sardegna diventi una grande Portovesme, ma la tensione e la determinazione che hanno portato in piazza quegli operai può essere un elemento da non sottovalutare in un’Isola che ritrova il suo orgoglio la domenica allo stadio o alla festa del santo patrono.

  5. andrea.cocco on

    Poco fà leggevo su Facebook un parallelo fra quanto sostenuto dal duo Lussu-Bellieni e iRS.Ci si interrogava sulla visione pro-Italia di “Lussu-Bellieni” e quella pro-Europa di iRS, sostanzialmente i due vedevano nell’Italia quello che iRS vede ora nell’Europa e di conseguenza ci si interrogava se in futuro anche alle scelte iRS si potranno contestare i medesimi errori del sardismo.
    Che ne pensate?

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