Non mi somiglia per niente

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di Michela Murgia
www.michelamurgia.com

Premessa: la Volkswagen quest’anno ha scelto Cagliari come sede della riunione con la propria rete di vendita, durante la quale ha presentato anche il nuovo modello dell’automobile Passat. Per svariate settimane il molo Ichnusa e il terminal crociere sono stati occupati da guardie armate che hanno vegliato come falchi sullo show room in allestimento, precludendo con brusco accento teutonico l’accesso pubblico ad uno dei pochi luoghi della città che offrono una passeggiata con vista mare. Al termine di questa convention la Volkswagen ha ringraziato la Sardegna con un apposito manifesto che aveva la rara peculiarità di essere scritto in sardo. Molti amici indipendentisti hanno apprezzato questa scelta dell’azienda di Wolfsburg, ma i motivi di questa esultanza non mi sono parsi gli stessi per tutti. Qualcuno ci ha visto per il sardo il riconoscimento implicito di lingua “normale”, cioè soggetta all’uso comunicativo comune – e quello pubblicitario sembra loro esserlo – piuttosto che al solo ambito familiar-popolare in cui altri vorrebbero relegarlo. Come a dire: il sardo è una lingua normale, se ne sono accorti anche i tedeschi. Altri si sono spinti più in là e ci hanno visto il riconoscimento di sé stessi come soggetto sociale distinguibile dagli italiani, e dunque raggiungibile con codici distinti. Sarebbe a dire: siamo diversi dagli italiani, se ne sono accorti anche i tedeschi. Io ho preferito non farmi viaggi etnocentrici e ho evitato di proiettare le mie ombre su quel manifesto, riflettendo piuttosto su quello che rappresenta in termini di comunicazione: una stimolazione pubblicitaria veicolata da un linguaggio mimetico. Partendo dalla considerazione che il mittente è tedesco, il destinatario è sardo e il messaggio nascosto dietro l’apparenza del ringraziamento è comunque e sempre “compra la macchina che produco”, nel forum di iRS ho scritto che quel manifesto è una rappresentazione artefatta, dove l’artificiosità non sta ovviamente nell’uso del sardo in quanto tale, ma appunto nel carattere mimetico del suo utilizzo.

Il linguaggio mimetico si può usare in molti modi, ma ha sempre lo stesso scopo, che non è mai comunicare e basta, ma principalmente persuadere. Da lingua a lingua è molto efficace, e lo sapeva bene Kennedy quando dal balcone del Rathaus Schöneberg disse ai berlinesi: Ich bin ein berliner. Ne è consapevole anche la Cirio quando fa dire a Gerard Depardieu “Tengo ’o core italiano” nello spot della sua passata. In questo caso l’uso dell’espressione locale e persino dialettale punta a una comunicazione a due canali simultanei, dove il concetto viaggia apparentemente sul piano razionale del senso, ma la persuasione si muove sul piano emozionale, attraverso la lingua madre che risuona sorprendentemente in bocca all’interlocutore “straniero”. Il mimetismo linguistico sa muoversi però anche all’interno della stessa lingua, adattandosi al registro che si presume sia più familiare all’altro: ne sono esempio il linguaggio giovanilistico (Mtv lo usa di continuo) e il registro volgarmente esplicito che nell’ambito leghista e dei giornali berlusconiani ha assunto il nome di “parlamangismo”. L’ultima e più complessa delle mimesi riguardo l’uso dell’immaginario dell’interlocutore, e si realizza quando ci si vuole avvicinare ad un contesto mostrando di conoscerne e apprezzarne i codici non solo espressivi, ma anche di senso. La usano molto le religioni in fase di proselitismo, gli insegnanti intelligenti o i dialoganti ad alto livello, quando vogliono portare l’altro su un terreno simbolico apparentemente comune. Emblematico è quello che Satana fa con Gesù nell’episodio evangelico delle tentazioni, dove prima cerca di tentarlo con pane e potere, ma ottiene rifiuti in forma di citazioni bibliche (Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, etc). Con grande intelligenza il demonio modula allora la terza tentazione in chiave mimetica, usando proprio la parola di Dio per arrivare dove non può giungere altrimenti (Buttati, perché sta scritto…). Con Cristo il mimetismo non funziona, ma tra noi poveri cristi invece sì, e lo dimostra proprio il successo del manifesto della Volkswagen, basato ahimé sull’equivoco che voleva generare. Ma è appunto un equivoco, con buona pace dei miei amici. Se un sardo quando parla con un bavarese è convinto di star parlando con un tedesco di Baviera, allo stesso modo un tedesco quando parla a un sardo è convinto di star parlando ad un italiano di Sardegna, sapendo benissimo che in quanto “italiano di Sardegna” il sardo conosce perfettamente l’italiano, quindi non c’è nessuna necessità di ricorrere alla lingua sarda per farsi capire, non fosse altro perché tutti i documenti la Volkswagen non li ha compilati in quella lingua, né le comunicazioni elementari con le istituzioni e il resto del contesto con cui ha interagito. Se dunque nella testa di un tedesco è l’italiano la lingua “normale” in un territorio italiano, scrivere un manifesto in sardo risponde invece a criteri di “specialità” e ha infatti lo scopo di far sentire “speciale” il destinatario della comunicazione. Il copy tedesco ha usato il sardo per parlare con i sardi per la stessa ragione per cui avrebbe scritto in napoletano se la convention si fosse svolta a Bagnoli: l’azienda sta usando quello che per essa è un dialetto locale (e non a caso usa il registro campidanese invece dello standard che l’amministrazione già usa) per fornire una rappresentazione di sé più familiare e rassicurante. Quel manifesto è un piede di porco emotivo per entrare dove il registro “normale” non entrerebbe mai. E’ un inganno mirabile spingerci a vedere un riconoscimento di quello che siamo in quella che è invece la rappresentazione di come ci vedono, e in questo quel manifesto non ha niente di diverso dalla vituperata letteratura folklorica, quella che usa vocaboli locali non come veicoli di senso ma come arredo etnico, perché ha l’intento di suscitare nell’interlocutore sardo una familiarità artefatta e in quello non sardo il senso arcaico di un esotismo altrettanto fittizio. Dietro il linguaggio mimetico c’è uno che vuole che tu abbassi le difese, e quindi è altamente probabile che ti voglia anche fottere. L’aveva capito bene Alberto Masala, quando nel 1996 immaginava il dialogo tra Carlo V e il suo messo in Sardegna, che giustamente gli sconsigliava una inutile guerra di conquista laddove bastava molto meno:

Sa pelea podides avitare
ponzende a currer chimb’o ses dinaris
e a sos chi non si lassan comporare?
Bastet chi abboghinedas Fortza Paris!

Sbalordisce quanta fatica facciamo ancora a capire che non basta sentir dire cixiri...

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