Il Giappone, la Sardegna e il referendum

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Fissione. Ecco la parola più mediatica e paurosa degli ultimi giorni. Lo tsunami abbattutosi in Giappone ha fatto ri-piombare il mondo dentro l’incubo nucleare. Una catastrofe umanitaria che ricorda la potenza della natura rispetto allo spazio tecnologico dentro cui l’uomo pensa di poter svolgere una vita al sicuro, relegando la natura a mera variabile indipendente delle scelte che l’umanità compie.

La realtà è radicalmente un’altra. La natura batte la tecnologia. Fukushima è oggi l’esempio lampante che circoscrive quel fenomeno sociologico che Urlich Beck denomina “società del rischio”, ovvero uno spazio trascendente i tradizionali confini dettati dal trinomio popolo-territorio-stato e nel cui interno vengono condivisi gli effetti negativi e positivi della moderna società globale.

Fukushima è oggi il punto mediano del mondo e rappresenta l’epicentro di una distribuzione del rischio da cui nessuno di noi è esente. Immersi in queste dinamiche siamo tutti soggetti universalizzati. Il nucleare è l’esempio classico di una minaccia che trascende i confini degli stati trasformandosi in un pericolo domestico per ogni essere umano. Sull’onda dello scenario aperto dallo tsunami giapponese, in Sardegna il 15 maggio si svolgerà un referendum attraverso cui il popolo sardo si esprimerà contro la possibilità di instaurare centrali nucleari sull’Isola. Ipotesi che se realizzata porrebbe la parola fine ad ogni ipotesi di sviluppo nell’Isola.

Quel voto non avrà un significato solo localistico, ma sarà un voto globale. Come Fukushima anche i nostri paesi saranno inconsapevolmente al centro del mondo, esprimendosi non solo sul futuro della Sardegna ma anche su quello dell’intero pianeta. Il nucleare riguarda tutti. Questa consultazione popolare avrà però un limite giuridico che ne limiterà la portata in quanto il suo esito non ha nessuna valenza normativamente vincolante, ma esprime solo un parere consultivo.

Il suo esito sarà di conseguenza tutto politico. Dentro questo scenario in cui locale e globale si sfiorano e si contagiano, una riflessione è doveroso farla. Anche se dolorosa: la decisione ultima se costruire o meno centrali nucleari in Sardegna non spetta in ultima istanza ai sardi, ma allo Stato italiano. Eccola svelata la linea estrema dentro cui si frantuma un processo democratico di scelta su un tema così determinante per lo sviluppo della nazione sarda.

La classe politica sarda appare compatta sul negare ogni ipotesi di atomo nell’Isola. Possiamo fidarci? Davanti ad una decisione penalizzante con quali strumenti faremo valere i nostri diritti? Gli stessi che hanno anteposto il proprio cadavere alla “discesa nucleare” in Sardegna, come si comporteranno di fronte all’interesse nazionale italiano?

Questa discussione impone un ragionamento: non possono essere più elusi i temi della sovranità e dell’indipendenza in quanto intimamente interconnessi non solo con il futuro del popolo sardo, ma anche con quello dell’intera umanità. Infatti se quel referendum fosse svolto in una Repubblica di Sardegna, sovrana e indipendente, avrebbe un significato ben preciso: l’impossibilità del nucleare in Sardegna.

Al contrario, l’Autonomia consegna a quel referendum un peso solo consultivo, decretando di fatto ad altri la delega su processi di scelta di nodale rilevanza. Sarà per tanto determinante andare a votare SI il giorno del referendum, ma sarà altrettanto fondamentale riflettere su quanto sia considerevole il tema dell’indipendenza. In questo caso non solo per il popolo sardo, ma anche per tutti gli abitanti della terra.

Essere indipendenti significa in ultima istanza partecipare alla definizione degli scenari futuri non solo per l’Isola, ma per il Mediterraneo, l’Europa e il mondo. Il tema del nucleare rientra in questo quadro. Quanto di drammatico sta accadendo in Giappone offre alla Sardegna la possibilità di ripensare il proprio rapporto con il mondo, valutando nello stesso momento i costi economici e sociali dell’assenza di strumenti di sovranità capaci di sviluppare e sostenere politiche virtuose. Il voto del 15 maggio, in questa ottica, è quindi un momento di riflessione grazie al quale fare i conti con il passato e il futuro della nazione sarda, dando nello stesso tempo un segnale su che tipo di pianeta vogliamo costruire per chi verrà dopo di noi.

Nello Cardenia
Coordinatore Politico iRS – Tàtari

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