Love boat

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Brutte notizie dal fronte orientale di Roma Napoli e dintorni, la vetusta e ubriacante Tirrenia è stata venduta ai soliti noti Onorato e company, già recentemente colpevoli del simpatico aumento  delle tariffe dei traghetti da e per la Sardegna, senza che alla Regione fosse neanche data la possibilità di sedersi al tavolo delle trattative.

Tutto naturale, nello sfavillante sistema autonomistico, come se la questione non interessasse i sardi, come se non fossimo già vittime di una sorta di embargo moderno che le navi della Saremar non sono purtroppo riuscite a scardinare in maniera efficace, visto che nei primi mesi estivi si parla di un calo di arrivi nei porti sardi attorno al 25%. Solita storia, già vista e sentita, la Regione viene esclusa dalle decisioni che la riguardano direttamente, solite reazioni scontate e prevedibili; rabbia, sdegno, indignazione che presto si risolveranno nel solito senso di impotenza che frustra ogni nostra ambizione. E pensare che non è di certo la prima volta che lo stato italiano, in questo caso addirittura un “governo amico” come se la Sardegna ne avesse mai avuto uno, mantiene nei nostri confronti un comportamento del genere.

Visto che ci hanno sempre detto che conoscere la storia può servire ad evitare gli errori che altri hanno commesso in passato, un tuffo indietro di qualche decennio potrebbe rivelarsi utile. Era il 26 dicembre 1944, mentre nella lontana penisola italiana infuriava una guerra civile che da noi non ebbe nessun riflesso (giusto per rimarcare anche in questa occasione la nostra estraneità alle dinamiche italiane), a Sassari veniva fondata la società di navigazione “Sardamare”, seguita a ruota, il 23 gennaio 1945, dalla creazione dell’”Airone”, compagnia aerea tutta sarda. Alla faccia di una presunta, ma mai provata, incapacità imprenditoriale dei sardi, la nascita delle due compagnie fu la naturale risposta all’isolamento in cui si trovava un’isola che in pratica era pacificata già all’indomani dell’8 settembre. Una reazione attiva e coraggiosa alla tragedia della guerra, probabilmente organica agli insistenti venti di indipendenza che soffiavano forte in quegli anni, un sentimento crescente che verrà liquidato come generico “separatismo”, termine che tra l’altro è totalmente inappropriato essendo la Sardegna da sempre separata dall’Italia.

Ovviamente le due imprese sarde, che per un certo tempo garantirono i loro servizi, sopravvissero fino alla fine delle ostilità belliche, appena il governo centrale ebbe la possibilità di riorganizzarsi la “Sardamare” e l’”Airone” furono costrette alla chiusura per far posto alle più blasonate e ammanicate Tirrenia e Lai (antenata dell’Alitalia), loro si realmente capaci di salvarci dal nostro millenario isolamento.

Oggi come allora la flotta sarda è oggetto di minacce e tentativi di “affondamento” da parte degli armatori italiani, ben spalleggiati in questa guerra fredda dai governanti romani, in quest’ottica può essere letta l’esclusione dei rappresentanti sardi al tavolo di trattativa della vendita di questi giorni. Forse nel dopoguerra non disponevamo di forze sufficienti per proseguire quel percorso, oggi invece non solo abbiamo il dovere di continuare a percorrere questa strada, ma è sempre più evidente che la flotta sarda merita di essere potenziata ulteriormente, rendendola stabile tutto l’anno e soprattutto aprendo ad altri mercati vicini come la Francia, la Catalogna e la Spagna. Solo in questo modo nella nostra nazione potremmo garantire un reale diritto alla mobilità; una soluzione indipendentista alla questione dei trasporti non può che passare per un allargamento degli orizzonti. Siamo a un bivio, possiamo ostinarci a mantenere sguardo e testa fissi verso l’Italia continuando a prendere schiaffi e finendo con avere il torcicollo, oppure iniziamo a ragionare come sardi, europei e mediterranei. Dopotutto la scelta non è così difficile.

Yutri el Shard

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