Molti dei nostri padri avevano un’ossessione, che poi è la stessa dei loro padri per molte generazioni precedenti, il sogno di entrare a pieno titolo a far parte di una grande madre patria ideale che garantisse a tutti maggiore equità e giustizia sociale e permettesse ai sardi, con una sorta di diffusione che si sarebbe dovuta sviluppare meravigliosamente, di venire fuori dalla palude dell’arretratezza in cui erano piombati con la dominazione spagnola.
Diciamoci la verità, a parte i pochi patrioti sardi realmente illuminati, la maggioranza dei nostri avi ha creduto nella bontà di questo progetto. Ci hanno creduto nel 1847 quelli che hanno rinunciato alla vecchia autonomia per rincorrere la fusione perfetta, ci hanno ri-creduto pochi anni dopo nel 1861 quando nacque il nuovo regno, e ci sono cascati ancora nel 1948 con la repubblica sognando ad occhi aperti con la nuova autonomia, riuscendo poi magicamente per mano di una classe politica supina e incapace, a ribaltare del tutto il significato del termine, da quale altra parte del mondo autonomia è sinonimo di dipendenza?
Bene, 160 anni di umiliazioni e imposizioni sono più che sufficienti per sancire il definitivo fallimento di un sogno! I risultati dell’indagine promossa dall’Università di Cagliari presentati mercoledì lo confermano in pieno. Significativo constatare come il 41% degli intervistati sia favorevole all’indipendenza (l’11% addirittura fuori dall’Europa…)e di certo non stupisce che siano in maggioranza giovani. Sta diventando dunque una questione generazionale, e chi afferma che le giovani generazioni sarde siano indipendentiste non va molto lontano dalla realtà. Per la prima volta da secoli stiamo riuscendo a scrollarci di dosso quel fastidioso senso di inferiorità che sta alla base del continuo tentativo di forzata integrazione con il “continente” (significativo il fatto che siamo gli unici a chiamare così la penisola italiana).
Attenzione qua non si tratta dell’integrazione etnica per cui si batteva Martin Luther King e in maniera diversa anche l’ultimo Malcom X, qua si tratta di uno sforzo inutile e rovinoso che ha sempre limitato le nostre prospettive. Con il tempo la situazione è cambiata, e se i nostri padri si trovavano distanti mezza giornata di navigazione da Genova o Civitavecchia, noi adesso ci troviamo a un’ora (o poco più) di volo da tutte le capitali europee. A pensarci bene, che razza di integrazione possiamo trovare in uno stato italiano che continua a mantenerci fuori dall’Europa? Questo tipo di sentimento somiglia molto ad un’assenza di volontà e continua ricerca di assistenza, come se non fossimo abbastanza maturi per poter risolvere da soli i problemi.
I giovani sardi invece hanno intenzione di assumersi le proprie responsabilità, sono già integrati, viaggiano in lungo e in largo per il Continente (quello con la “C” maiuscola) e il Mediterraneo, padroneggiano più lingue e ospitano i loro coetanei di altre nazioni. L’auto-castrazione in salsa italiana sembra arrivata agli sgoccioli.
di Marco Lepori
1 commento
Caro Lepori, ho apprezzato molto il tuo articolo e lo condivido appieno. Voglio aggiungere – se me lo permetti – un mio modesto pensiero. Purtroppo, aldilà della buon augurante indagine dell’Università di Cagliari e del momento speriamo magico della causa indipendentista (che sappiamo dovuto principalmente alle conseguenze della crisi economica in atto), rimane scoperto il punto più dolente della volontà del popolo sardo di essere sovrano nella sua terra. L’ha ben espresso in una sua domanda – senza accorgersene credo – il cronista de L’Unione Sarda che ha intervistato Gavino Sale: “Ma chi l’ha detto che, facendo da soli, i sardi avranno più prosperità?” Questa domanda è la grande domanda che ancora la stragrande maggioranza dei sardi nel profondo del proprio animo si fa, e cioè “cosa mi conviene”, “come sto meglio”. La “quistione” dunque come diceva il nostro Gramsci è un’altra: credo che bisogna cominciare o ricominciare a parlare al popolo sardo con un linguaggio più chiaro e dire quello che non vogliono sentirsi dire e cioè che l’indipendenza e la sovranità arriveranno soltanto se i sardi saranno capaci di enormi sacrifici e sofferenze. Sacrifici e sofferenze che si supereranno tutti insieme in nome di un futuro migliore non tanto dal punto di vista economico (senz’altro possibile e auspicabile) ma dal punto di vista della dignità, dell’onore e della forza morale di ogni sardo. Solo con questi presupposti potrà esserci un giorno una Sardegna veramente libera, sovrana e indipendente, altrimenti saranno solo spese belle e giuste parole per un futuro possibile ma non realizzabile. Cordiali saluti. Fausto Siddi (faustosiddi@tiscali.it)