A nos bìere in s’ìscola

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Dove vanno a finire gli studenti della Sardegna? Quali ragioni hanno spinto il 23,9% di giovani sardi ad abbandonare gli studi tra la prima e la seconda superiore, rispetto al 18,8% degli italiani? Perché il 31,4% dei quindicenni è “privo delle capacità fondamentali di lettura e di scrittura”?

Il tasso di abbandono è in continua crescita dal 2007, con punte del 16,1% tra le donne contro il 31,1% degli uomini, dati che preannunciano la medesima catastrofe nel mondo accademico, in forte sofferenza per iscritti e raggiungimento degli standard europei.

In linea generale le ragioni di questi dati disastrosi possono essere individuate in fattori interni ed esterni al sistema scolastico isolano, molto differenti ma fortemente legati tra loro.

Bisogna abbandonare l’idea che la crisi economica si combatta con i tagli indiscriminati sulle ore di insegnamento, sull’aumento del numero di alunni per classe e l’accorpamento dei plessi scolastici in un territorio connotato da un’orografia penalizzante, elementi che impoveriscono la qualità dell’insegnamento e si ripercuotono implacabilmente su chi non riesce a stare al passo in un gruppo classe di 27 e 32 alunni, dove spesso non si riesce a supportare chi ha bisogno di più attenzioni, a cominciare dagli alunni disabili.

Ecco perché in Sardegna è necessario ragionare su un tipo di scuola rinnovata, che non lasci indietro nessuno.

Una scuola dinamica e attenta al mondo che cambia, aperta e solerte a recepire ed usare le nuove tecnologie, soprattutto ai fini dell’apprendimento;

– una scuola al servizio del territorio di cui interpretarne o rinnovarne la vocazione, per correggere gli errori fatti e rilanciarne lo sviluppo in termini di tecnologia eco-compatibile, bonifica e tutela dell’ambiente e del patrimonio artistico-culturale, sviluppo sostenibile e armonioso nei settori economici più importanti della Sardegna. A patto però che i nostri studenti non siano solo i futuri manovali, operai, lavapiatti e camerieri, anche se professionisti, attratti dall’Eldorado delle coste predate dal cemento, schiavi per tre mesi di un lavoro in nero o di un contratto vilmente “atipico”; urge una scuola che forgi imprenditori che progettino, investano, riconoscano le occasioni e fiutino le fregature degli approfittatori;

– una scuola che applichi finalmente ed obbligatoriamente la legge regionale 26 del 1997 sulla promozione e valorizzazione della cultura e della lingua sarda, che parli sa limba ‘e sa titta insieme alle lingue europee, che racconti la nostra storia e la nostra economia nel mondo globale;

– una scuola che offra nelle sue mense i prodotti locali, così da dar respiro e nuovi stimoli ai nostri contadini e allevatori e all’indotto in generale;

– un sistema scuola regionale regolamentato sulla base di apposite leggi, che sappia proteggere, incrementare, programmare e organizzare le proprie risorse umane ed economiche sui territori, secondo logiche scolastiche democratiche e condivise, scevre da campanilismi e ragioni deprecabili facenti capo alle esigenze di soggetti privi di una visione globale e condivisa;

– una rete di trasporti funzionale e dedicata, che non alimenti l’abbandono scolastico con costi e disagi altamente demotivanti.

Un raggio di sole scaturisce da un dato in contro-tendenza. L’unico ordine di studi nel quale la Sardegna registra un incremento è quello dell’educazione permanente degli adulti: nonostante il 25,8% dei sardi si trovi nella condizione di non far nulla, né lavoro né studio, il 7,2% di persone tra i 25 ed i 64 anni scelgono di rimettersi in gioco: volenti o nolenti si torna tra i banchi di scuola, pentiti di scelte che il mercato del lavoro ha punito duramente o semplicemente in cerca di riappropriarsi dei propri sogni.

Arianna Marrocu – iRS Tzde scuola e formazione

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