Vi siete mai chiesti cosa comporta materialmente la mancanza di sovranità per la nostra terra? Quali conseguenze abbia l’ostinazione con la quale i sardi continuano a credersi, nonostante in realtà non lo siano mai stati, parte integrante di una cosiddetta madre-patria matrigna così lontana geograficamente ma così invasiva e autoritaria? Proviamo a farne una questione di priorità, conta di più la salute di un sardo o il funzionamento di una lampadina a Roma?
Se la domanda è stupida la risposta sarà ovvia. Infatti proprio sabato la prefettura di Sassari su ordine dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, ha emesso un ordinanza nella quale viene concessa una nuova deroga per gli impianti 1 e 2 di produzione energetica gestiti da e-On a Porto Torres. Da tempo ormai fuori-legge, sempre fortemente inquinanti e talmente obsoleti da essere anche a forte rischio rottura, questi impianti alimentati da quell’olio combustibile la cui fuoriuscita aveva provocato il disastro del gennaio del 2011, sono però considerati, ed è questo alla fine il nodo del discorso, “strategici per il sistema nazionale”. Il sistema di cui si parla è, manco a dirlo, quello italiano. Per cui la risposta alla domanda iniziale è scontata, conta di più il funzionamento di una lampadina a Roma. Ed ecco che emerge puntuale in tutto il suo splendore la contraddizione di una autonomia sempre più dipendente, di una nazione sarda senza sovranità incapace persino di difendere se stessa, di interessi “strategici per il sistema nazionale” che però puntualmente paghiamo noi e a caro prezzo. Un sacrificio dunque che dobbiamo sopportare perché “anche noi siamo italiani”, speciali, bassi e un pochino selvaggi ma pur sempre italiani. Lo stesso tipo di ragionamento che costrinse i giovani sardi a farsi massacrare nelle trincee della Grande guerra per difendere confini lontani, o che fino a pochi mesi fa ci vedeva in pole position per la costruzione di centrali nucleari in quanto terra non sismica.
Scontate saranno anche le prossime mosse, i politici locali abbaieranno alla luna innocui come cagnolini sdentati, un paio di telefonate “importanti” metteranno a tacere i rivoltosi, e-On nel frattempo continuerà a riempire i reparti di oncologia già drammaticamente affollati infischiandosene degli accordi per la sostituzione dei gruppi a olio (non che il carbone possa essere considerato energia pulita). Chi di dovere, avrà mai il coraggio di fare qualcosa? D’altronde alla multinazionale teutonica basta poco per ripulirsi la coscienza, una bella gita didattica agli impianti con qualche scolaresca di zona vogliosa di imparare le “nuove” tecnologie e magari una manciata di spiccioli donati ad amministratori compiacenti utili a finanziare eventi culturali e festicciole paesane. Ti intrattengono prima di farti ammalare.
Nel frattempo sta partendo il progetto per la chimica verde, che già nel nome è un evidente ossimoro; tra le tante incognite una certezza è la “centrale a biomasse” che teoricamente dovrebbe produrre energia utilizzando biomassa erbacea. Un progetto ad alta sostenibilità ambientale dunque, peccato che dietro al nome così rassicurante si nasconda la possibilità, permessa dalle sempre impeccabili normative italiane, di assimilare alle biomasse anche i rifiuti solidi urbani. Per cui che lo si chiami termovalorizzatore o centrale a biomasse, un inceneritore sempre inceneritore rimane. Provate a indovinare: su chi ricadranno poi le conseguenze di queste scelte lungimiranti?
Marco Lepori