Teenage lobotomy

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Posso dire di essere stato uno studente abbastanza mediocre, con una certa costanza ho passato i miei anni scolastici nella terra di mezzo di chi rischia di essere una schiappa totale e chi invece può sollevarsi fino allo status di secchione. Una quindicina di anni (l’università non fa testo) passati tra pochi sussulti, qualche scivolone e una marea di sbadigli. Tra le tante, c’era una cosa che odiavo più di tutte a scuola, imparare una poesia a memoria. Un inutile e faticoso esercizio finalizzato a snocciolare paroloni che il più delle volte venivano dimenticati già il giorno dopo l’interrogazione. Difficile capirne il motivo, è forse necessario saper ripetere tutte le battute di un film per poterlo apprezzare? E se uno dei compiti primari della scuola è quello di aiutare a comprendere, studiare a memoria non sortisce forse l’effetto contrario?

Ora l’ultima geniale idea del governo italiano è quella di obbligare gli studenti a memorizzare l’inno di Mameli, una questione certamente di vitale importanza e che finalmente riuscirà a risollevare il destino di uno stato da tempo alla deriva. A ben vedere il problema non si pose finché la nazionale di calcio italiana, unico vero collante di uno stivale sempre sul punto di frantumarsi, perse qualche partita di troppo. Se la memoria non m’inganna, e potrebbe tranquillamente ingannarmi, si trattava della seconda metà dei favolosi anni ’90 e l’opinione pubblica, subito allarmata per una situazione che volgeva al dramma, trovò un comodo capro espiatorio nel fatto che i giocatori non cantassero l’inno e di conseguenza non si sentivano realmente coinvolti e di conseguenza non correvano abbastanza eccetera eccetera…

Allo stato attuale da tempo non seguo più l’Italia calcistica, se non qualche volta per tifare contro, non so dunque come sia andata a finire quella querelle e ignoro del tutto il livello di coscienza patriottica dei giocatori, ma bisogna riconoscere che da quella prima polemica all’obbligo di insegnamento nelle scuole il passo è stato breve, soprattutto se consideriamo che il sistema culturale italico sembra sempre più finalizzato a creare nuovi “modelli/calciatori” che si fidanzeranno con nuove “modelle/veline”. Può mai un futuro campione non conoscere l’inno?

Chiaramente nessuno si preoccupa del significato delle parole contenute nelle varie strofe, un po’ come per le preghiere da piccoli, ripetere all’infinito un atto di fede senza farsi troppe domande, che forse è meglio così!

E i maestri, le mamme e gli alunni sardi, che in realtà italiani non lo sono, come dovrebbero porsi di fronte a questa ennesima prepotenza culturale? Noi che, “schiavi di Roma” lo siamo davvero, ben più della metaforica “vittoria” citata che in realtà molto spesso è sfuggita alle italiche truppe, e che “l’elmo di Scipio” per secoli l’abbiamo strappato dalla testa dei legionari romani che combattevamo con coraggio, dovremo nuovamente uniformarci alle direttive italiane, nell’eterno maldestro tentativo di integrazione con ciò che non siamo mai stati?

Vedremo dunque bambini tristi costretti ad imprimersi in testa vetuste filastrocche, e quelli di loro più fortunati che riuscissero a schiacciare un pisolino di nascosto durante la lezione correranno il rischio di svegliarsi improvvisamente con la paura che qualche baffone austriaco nemico possa rubargli la merenda?

Marco Lepori

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