Fabrizio De Andrè : Pellerossa e i Sardi

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Perché Fabrizio De André sceglie i Pellerossa e i Sardi?

I
 Sardi
 perché
 rappresentano
 un’etnia 
che 
conosce 
direttamente 
e 
non solo
 per
 essersi
 trasferito
 a
 vivere in
 Gallura,
 e
 quindi
 avere
 avuto modo
 di 
conoscere 
direttamente 
una 
cultura
 che 
lo
 affascina, 
ma 
anche ‐
 in
seguito 
al 
sequestro 
avvenuto 
proprio
 in 
Sardegna
 nell’ agosto
 del 1979
 di 
cui 
fu 
vittima 
insieme 
alla sua compagna 
Dori 
Ghezzi 
‐ 
per 
aver toccato
 con
 mano
 la
 condizione
 di
 marginalità
 vissuta
 dal
 popolo e dalla
cultura
 sarda,
 come 
conseguenza 
di 
un
 potere 
che, 
nel 
corso
 dei secoli,
 ha
 cambiato
 uomini
e bandiere
 ma,
nel 
contempo,
 ha
 reiterato se
 stesso 
nella 
violenza 
e 
nella 
sopraffazione.

Tra
 l’altro,
 sia
 detto
 per
 inciso,
 l’esperienza
 del
 sequestro
 fu determinante
 nel
 consolidamento
 delle
 convinzioni
 di
 De
 André
 a proposito
 della 
dialettica 
”oppressori
‐
oppressi”, 
nella 
quale
 lui 
aveva
 sempre scelto
 la
 difesa
 degli
 oppressi,
 cosa
 questa
 che
 continuerà
 a fare
 anche
 dopo
 il
 trauma
 della
 vicenda vissuta
 insieme
 alla
 moglie (117
 giorni
 trascorsi
 in
 condizioni
 coatte,
 all’aperto
 nelle
 boscaglie della 
Barbagia),
 tanto
 che,
 una
 volta 
libero,
 dichiarerà
 pubblicamente di
 aver
 compreso
 le 
ragioni
 dei
 suoi
 rapitori.

Gli
 indiani
 del
 West
 americano
 non
 si
 discostano
 molto,
 nella
 lettura che 
ne 
fa 
Fabrizio, 
dai
 pastori
 sardi. In primo
 luogo,
 sono 
portatori 
anch’essi 
di 
una
 cultura
 “altra” 
rispetto a
 quella
 della
 civiltà
 dominante.
 Abitano
 anch’essi
 gli
 spazi
 liberi
 di praterie
 o
 montagne
 e,
 come
 i
 Sardi,
 conoscono
 la
 libertà
 e, conseguentemente,
 la
 violenza
 della
 repressione
 di
 chi
 quella
 libertà vuole
 negare
 insieme 
alla loro 
diversità.

Ecco 
perché 
nelle 
canzoni
 di 
questo
 disco,
 la
 poesia 
di 
De
 André
 sarà venata
 da 
un 
forte
 senso
 di compassione,
 nel 
senso
 proprio 
di 
”sentire insieme”,
perché,
 come
 già
 avevamo 
scritto 
prima, 
Sardi
 e
 Indiani, 
per Fabrizio, 
non 
sono 
solo 
soggetti
 storici 
ma 
anche
 figure 
simboliche 
che non
 si
 discostano,
 per
 le
 esperienze
 che
 vivono
 o
 subiscono,
 dai personaggi
 “altri”
 che 
lui 
ha
 cantato 
sempre.

E
 per
 sottolineare
 ancora
 di
 più
 questa
 sua
 adesione
 emotiva
 e affettiva,
 oltre
 che
 culturale
 e
 politica,
 verso
 la
 marginalità
 di
 chi “viaggia
 in
 direzione
 ostinata
 e
 contraria”,
 De
 André
 riscopre
 l’uso delle
 lingue
 “altre”,
 quei
 dialetti
 che
 la
 cultura
 ufficiale
 relega
 in
 un mondo 
folklorico,
utile
 per
 le sagre
turistiche,
 ma
 da 
reprimere 
quando 
sono
 espressione
 di
 cultura 
”altra”, 
in
 nome 
della
 lingua 
e 
della cultura del 
potere.

De
 André,
 naturalmente,
 rivendica
 una
 sua
 distanza
 incolmabile dall’esaltazione
 dell’uomo 
folklorico,
 del
 “buon selvaggio”
che
 è 
buono proprio 
in
 virtù
della
 sua 
astoricità.

Fabrizio De André (18 Febbraio 1940 – 11 Gennaio 1999)

Tratto 
da 
”Ed 
avevamo
 gli
 occhi 
troppo 
belli” 
di 
R.
 Giuffrida

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