Sinistra sarda, tra dipendenza e velleità di cambiamento

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Sono ormai diversi mesi che assistiamo a un lungo dibattito interno al centro sinistra sardo. Recentemente sembra che i clamori della politica isolana si siano ulteriormente accentuati, anche per effetto delle attenzioni della magistratura nei confronti di numerosi consiglieri regionali.

Se dalla parte del centro destra le indagini giudiziarie sembrano non aver comunque creato nessuno scossone che possa mettere in pericolo la compattezza della coalizione, dalla parte opposta, invece, il turbamento è talmente forte al punto da minare la stessa candidatura di Francesca Barracciu. In tanti, soprattutto la base (non ultima la lettera dei giovani del pd), chiedono che si faccia definitivamente “pulizia”.

Osservando ciò che sta accadendo in queste ultime ore non possiamo non soffermarci sulle questioni che stanno diventando oggetto del dibattito. Infatti oggi pare che il problema del centro sinistra in Sardegna sia quello di decidere se presentarsi alle elezioni con la dirigenza del partito interamente sotto inchiesta oppure cercare di dare una spolveratina di cambiamento, facendo fare il famoso “passo indietro” alla candidata alla Barracciu.

Tuttavia continuiamo a chiederci, da osservatori, per quale motivo ancora questa forza politica continui a ripetere gli stessi errori e soprattutto a non interessarsi, se non marginalmente qualche volta, delle questioni fondanti che riguardano la Sardegna.

Nessuna discussione viene portata avanti in merito a come risolvere i nodi strutturali che non permettono a questa terra di risollevarsi da un crisi cronica e decennale. Poco e niente è stato detto in questi ultimi mesi riguardo le questioni della mancata sovranità fiscale e dell’assenza di un piano energetico. Così come è assente quasi del tutto il dibattito sul tema dei trasporti interni ed esterni all’isola. Ma soprattutto è sotto gli occhi di tutti l’assenza di tutti quei temi che hanno sempre caratterizzato nella storia le culture che si definiscono “progressiste”. Non si sente parlare quasi mai di giustizia ed equità sociale, così come poco o niente di concreto viene detto sulle politiche del lavoro. Manca poi del tutto il respiro internazionale, la sinistra sarda non è stata infatti mai capace di leggere i cambiamenti del mondo contemporaneo se non attraverso i filtri delle linee dettate dalle segreterie di Roma.

Eppure basterebbe solo voltare lo sguardo nella direzione opposta e guardare a quello che sta accadendo in Europa, nella vicina Catalogna dove i partiti progressisti non solo governano in piena autonomia da Madrid ma addirittura non fanno mistero di lavorare per uno nuovo stato catalano indipendente. In Scozia nel 2014 si svolgerà il referendum per l’indipendenza promosso dallo Scottish National Party e dalla sinistra progressista Scozzese.

La sinistra in Sardegna può definirsi tale senza aprire il campo alla cultura indipendentista e alle forze sovraniste? Crediamo di no, per almeno due motivi:

1. La cultura autonomista rischia di alimentare il processo di disgregazione sociale in quanto rappresenta una dinamica accomodante e non una forza condizionante, ovvero il suo margine di azione non contempla la capacità di cambiare il destino dell’Isola;

2. L’acquisizione di maggiore sovranità darebbe gli strumenti e i poteri necessari per gestire i beni comuni della nostra isola (sole, acqua, vento, patrimonio conoscitivo sardo) e i settori chiave per poter ridisegnare una Sardegna sovrana dal punto di vista energetico, economico e fiscale, alimentare e per quanto riguarda la politica dei trasporti. A questo si aggiunge la possibilità di reperire risorse materiali e immateriali per modulare politiche di coesione sociale, per contrastare le diseguaglianze economiche ed innescare le progettualità utili ad aumentare la fiducia tra i cittadini.

Non è sufficiente cambiare il candidato e darsi una verniciata di “nuovo” per essere credibili. E’ necessario ascoltare e tradurre le pulsioni che arrivano dalla base mettendo al centro del proprio agire la partecipazione e la democrazia, non solo a parole come è successo fino ad ora. Il cambiamento non può arrivare dalla magistratura ma deve maturare da una presa di coscienza politica e culturale. Non prendere atto di questo significherebbe rimanere una forza conservatrice di uno status quo infelice e misero per la nazione sarda.

Il cambiamento, quello vero, non può essere generato per effetto delle azioni della magistratura ma deve avvenire attraverso lo sviluppo di un dibattito politico serio e approfondito.

iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna

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