Scuola: privato e privazione

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In merito al decreto con cui la Giunta finanzia 252 scuole private per l’infanzia, l’Assessora regionale alla Pubblica Istruzione Claudia Firino ha sottolinerato che “cambiare i criteri in corso d’opera di un iter avviato durante la precedente legislatura avrebbe comportato nella migliore delle ipotesi un contenzioso per l’amministrazione regionale, nella peggiore l’interruzione di un servizio essenziale per le famiglie “. Su questo tema è necessario aprire una serena discussione rispetto a come e quanto il pubblico debba finanziare il privato e su come entrambi i settori dovrebbero, stante la situazione attuale, essere messi nelle condizioni di completarsi al fine di garantire un servizio universale e di eccellenza.

E’ utile partire dal presupposto che, purtroppo, troppo spesso le scuole private sono diventate una risorsa ed una necessità sul territorio, soprattutto laddove lo Stato non è in grado di adempiere pienamente agli obblighi previsti dalla stessa carta costituzionale. Lo stato italiano dunque, da tempo immemore ed in virtù di accordi con la Chiesa, finanzia le scuole private che sono in larga maggioranza cattoliche.

Rientra in questo quadro l’importo di 18 milioni di euro dedicato al finanziamento delle scuole private per l’infanzia, che non proverrebbe interamente dalle casse regionali, ma vi sarebbero anche fondi dello Stato che le Regioni devono spendere obbligatoriamente per quella voce di bilancio, in base a criteri individuati dalle regioni stesse, che accettano i soggetti richiedenti tra quelli aventi diritto. Trattandosi anche di scuole private cattoliche non riconosciute dallo Stato italiano, i criteri sono a discrezione della Curia che certifica la richiesta dell’importo; in tutti i casi si tratta di spese inerenti strutture e pagamento del personale.

In tempi di crisi e soprattutto nel bel mezzo dell’autunno caldo della scuola, questo tipo di provvedimento porta con sé due importanti riflessioni:

1) la scuola pubblica subisce tagli di ogni genere, soprattutto in Sardegna, mentre si finanziano le scuole private;

2) nonostante scelte del genere siano state portate avanti nel passato da governi di centro-destra, oggi i governi di centrosinistra, sia in Italia che in Sardegna, non riescono a cambiar rotta. Su questo tema bisognerebbe dunque aprire una serena discussione, insieme a cosa significhi governare da un punto di vista progressista, anche quando si scelgono i criteri di assegnazione di finanziamenti pubblici a scuole private.

È indubbio che l’offerta formativa delle scuole private laiche e cattoliche, all’interno del sistema scolastico isolano e italiano, risulti essere non solo importante, ma spesso indispensabile, in tempi in cui la domanda da parte delle famiglie supera l’offerta del servizio dell’istruzione pubblica. È il caso proprio delle scuole dell’infanzia, gli asili e le scuole materne per intenderci, asili nido compresi. Le domande di iscrizione presso le strutture comunali superano di gran lunga i posti disponibili e le graduatorie diventano liste d’attesa. Pertanto chi può permettersi una certa spesa fa una scelta differente, con due motivazioni: negli asili comunali non c’è posto, dunque l’iscrizione a quelli privati diventa la necessità; oppure si sceglie in prima battuta l’asilo privato perché l’offerta formativa appare migliore.

Qualcuno dirà che è giusto scegliere l’istruzione migliore per il proprio figlio, qualcun altro dirà invece che il doppio sistema dell’istruzione, pubblico e privato, è ormai prassi nelle economie più avanzate, salvo dimenticare che l’istruzione pubblica è una conquista relativamente recente e che le più grandi disparità sociali iniziano con l’elitarietà del sapere.

La verità è che in molti casi si parla di scuole di qualità, al netto di aberranti storie di cronaca, perché circolano soldi e il personale è scelto, spesso con criteri molto di parte; i casi poi delle scuole parificate o paritarie è ancor più particolare, poiché si pongono in netta concorrenza con quelle pubbliche, anche rispetto alle opportunità per il personale, tranne che per quanto attiene gli stipendi, spesso miseri e a singhiozzo.

Ecco il cane tutto italiano che si morde la coda: si tagliano i fondi alla scuola pubblica ma per quella privata non mancano mai. Si perpetuano gli stanziamenti per la privata poiché offre un servizio “ormai indispensabile” che la scuola pubblica non soddisfa più. Ecco la stortura sociale che permette al privato di essere migliore ma con i soldi pubblici, di far concorrenza all’istituzione che prima fra tutte ha abbattuto le disparità sociali, battendola proprio sul piano del danaro, poiché la scuola in sé non produce certamente ricchezza immediata, ma prepara al futuro.

Ecco il solito italian job: si vuole imitare un modello americano ed europeo in cui privato e pubblico si fanno concorrenza ma a colpi di soldi pubblici, con la differenza che le scuole private richiedono rette ai propri clienti, perché tali sono, e grazie a questi possono arricchire la propria offerta formativa e diventare altamente concorrenziali.

iRS ritiene che le scuole private siano una possibilità, una scelta in più per chi voglia usufruirne, ma non può essere a discapito della scuola pubblica che in Sardegna, oggi più che mai, versa in condizioni disperate, subisce tagli feroci al Fondo d’Istituto col quale dirigenti e docenti devono fare i conti ogni anno scolastico, pur di continuare ad offrire agli studenti una scuola degna di un paese civile.

Ebbene, se la Regione “é costretta” dallo stato italiano a “girare” quei finanziamenti agli istituti privati, se proprio non si riesce a creare uno stato sociale nel quale l’istruzione pubblica viene potenziata mentre quella privata si autofinanzia, iRS lancia una proposta provocatoria: la Regione Sardegna imponga un abbassamento delle rette per gli utenti che usufruiscono dell’istruzione privata, che gode di un doppio canale di finanziamento, quello pubblico e quello dei clienti (si parla di rette mensili anche di 300-450 euro al mese), senza dimenticare che nel caso delle scuole cattoliche ospitate negli edifici religiosi, queste godono dell’esenzione del pagamento dell’ICI, che generosamente lo stato italiano risparmia loro.

Si otterrebbe così la possibilità di allargare il ventaglio di opzioni per una fetta più larga di utenti del servizio privato, se proprio deve continuare ad esistere, ma soprattutto un’attenuazione di quella che appare un’ingiustizia perpetrata da troppo tempo nei confronti dell’istruzione pubblica, oggetto di campagne denigratorie, tagli e riforme irrazionali.

Un’ultima ma fondamentale riflessione riguarda il finanziamento spettante alle politiche linguistiche della Regione in merito alla lingua sarda, compreso il suo utilizzo e diffusione nella scuola, il quale risulta ammontare a nemmeno 1/6 di quanto devoluto alle scuole private.

E’ chiaro che in questo senso sia necessario cambiar rotta e approntare una strategia di politica linguistica efficace, e per darle gambe servono finanziamenti ben pianificati.

In questo senso anche le scuole private dovrebbero, come le pubbliche, allinearsi alle scelte della Regione se volessero attingere alle medesime opportunità, soprattutto nel rispetto di un’offerta formativa che rispetti i diritti delle studente pubblico e privato.

 

Arianna Marrocu

iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna

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