Il territorio sardo mostra i segni riconoscibili della sudditanza nei confronti del sistema socio-politico italiano, che a sua volta attinge dalla cultura occidentale l’idea di sviluppo.
Se siamo determinati a creare nella nostra terra nuove opportunità di benessere, sia economico sia sociale, non possiamo prescindere dall’importanza di ridare un giusto valore alla qualità della vita. I luoghi in cui l’uomo crea e cura la propria esistenza sono funzionali ad essa solo quando sono sostenibili e obbediscono ad un’etica di valorizzazione dell’esistente, ovvero creano sinergia tra gli elementi: le fonti energetiche naturali, il lavoro dell’uomo e i frutti che ne scaturiscono.
Nel caso contrario, ogni attività umana, ogni strumento e ogni prodotto che contrasta con l’evoluzione naturale della terra è dannoso anche se crea ricchezza, che in quel caso è una condizione momentanea e certamente non diffusa.
Le politiche economiche attuate dai governanti che fino a oggi si sono succeduti, hanno fatto il gioco dei grandi investitori interessati ad accedere ai finanziamenti pubblici e guadagnare dal territorio… finché gli è convenuto.
A parte l’allucinazione glocalistica della PAC che ha dato luogo soprattutto a sperperi di risorse naturali ed economiche, non è mai stata attuata alcuna rilevante strategia che potesse aiutare a rendere competitive le produzioni alimentari locali rispetto a quelle importate; mai un piano ragionato e attento alla sostenibilità e l’interdipendenza tra sistemi colturali e insediamenti umani. Da decenni in Sardegna poligoni militari, raffinerie e industrie inquinanti “rubano” fertilissime terre e immense risorse, producendo morte in cambio dell’aumento del PIL.
Dall’altra parte del filo spinato la logica non cambia: la progettazione delle zone urbane e di vaste zone vocate all’agricoltura segue criteri dettati dalla rincorsa alla modernità senza scrupoli, con un approccio aggressivo tipico della presupposta superiorità dell’uomo nei confronti dell’ambiente in cui vive.
Il paradosso di questa vita ricca di eccedenze si manifesta nella crescente necessità dell’uomo di compensare questo stile di vita con prodotti farmaceutici.
L’errore più comune nella progettazione è quello di considerare gli elementi del sistema come se fossero a sé stanti. Questo ha portato, nel corso degli anni, alla creazione di un ambiente che presenta forti punti di contrasto tra gli elementi che lo compongo.
Partendo dalle grandi bonifiche attuate durante il fascismo, passando per il fallimentare Piano di Rinascita per lo sviluppo industriale degli anni ’60 e ’70, arrivando agli attuali investimenti per trivellazioni in cerca del petrolio, poligoni di sperimentazione bellica, miniere d’oro e di carbone, inceneritori, gasdotti di servitù e quant’altro nel panorama sardo delle speculazioni economiche, il nostro habitat risente dei continui danni indotti da questa consuetudine consumistica.
Tra i frutti di questo trend di cui non possiamo andar fieri, si possono annoverare, per esempio: la gestione disastrosa del sistema idrico, che ha sconvolto l’antica distribuzione a caduta gravitazionale dell’acqua, provocando uno spreco immane di energia e una dispersione insensata del potenziale idrico (persino le politiche sull’utilizzo dell’acqua vengono demandate a società multinazionali, che mirano alla sua collocazione tra i prodotti commerciali); il prevalente utilizzo del cemento armato per l’edificazione ha prodotto strutture che richiedono grossi sprechi di energia, per la fabbricazione e per compensare lo scarso isolamento termico e acustico; la coltivazione eseguita quasi esclusivamente con sistemi mono-colturali in maniera estensiva, forzata e discontinua, con la frequente aratura dei campi, l’utilizzo di diserbanti, fertilizzanti e pesticidi impoverisce il terreno e lo destruttura morfologicamente, compromettendo la biodiversità e, nella peggior ipotesi, avvelenandolo irrimediabilmente; l’industria pesante ha dato luogo a zone industriali pianificate in maniera a dir poco sregolata, andando spesso ad occupare zone di secolare vocazione agricola; l’edilizia selvaggia ha comportato la distruzione di importanti siti archeologici e la compromissione di luoghi di interesse paesaggistico e biologico; l’utilizzo di energia e di beni di consumo derivanti quasi esclusivamente dalla lavorazione del petrolio causano l’inquinamento delle principali fonti alimentari e dell’aria che respiriamo (sia nel corso della loro produzione, sia nello smaltimento).
In questo contesto, importanti settori endemici che avrebbero potuto rappresentare la prosperità economica e sociale della Sardegna sono stati compressi sotto il peso del capitalismo, che si manifesta nella Grande Distribuzione Organizzata e che ha portato a una forte crisi del settore artigianale, agricolo, commerciale, di allevamento, artistico e culturale. L’uomo è stato strappato alla terra e privato delle sue radici, negandogli uno sviluppo libero, congiunto alle sue attitudini e alle risorse locali.
Vincolate alla politica del largo consumo, le produzioni alimentari devono avvenire in larga scala, trascurando la ciclicità dei ritmi naturali della terra, le necessità locali di consumo e la vivibilità del territorio.
Un governo non sovrano, la cui economia è controllata dalle lobby delle industrie e da quelle militari, le cui politiche alimentari devono essere funzionali ad un mercato che è in mano alle multinazionali (che godono del favore delle leggi comunitarie) non sarà nemmeno in grado di produrre una politica di welfare. Per le piccole-medie imprese agro-pastorali sarde è molto difficile sostenere il passo imposto dal mercato europeo, quindi l’agricoltore o il pastore che non riesce a “battere” la concorrenza della GDO nel mercato locale, è spesso costretto ad entrare a far parte di una catena di montaggio che gli permette a malapena di provvedere al suo fabbisogno. Da lì al fallimento il passo è breve, e dove non c’è un campo coltivato, arriva presto il cemento. La sconvenienza dell’attività agricola porta alla svalutazione della terra, quindi i terreni dell’agro non vengono acquistati, se non da chi ha interessi diversi da quelli agricoli.
Il gioco per modificare le potenzialità economiche di una certa zona e indirizzare tale valore economico verso soggetti ben definiti, è semplice: compromettere il suo valore paesaggistico e biologico è il modo migliore per agevolare l’espansione della zona cementificata.
È spesso la vicinanza al centro urbano o a determinati servizi che dà maggior valore ai terreni, e in numerosi villaggi della Sardegna è ben visibile come i piani urbanistici prevedano un accerchiamento delle zone agricole.
Per non perderci nelle ambigue logiche di un sistema malato è indispensabile darci una scrollata, fino a perdere almeno metà delle certezze assolute profuse da chi ha grossi interessi che la situazione attuale non cambi. È nostro dovere guardare cosa succede intorno a noi e oltre, per poterci confrontare, condividere le nostre conoscenze e cogliere il meglio dalle esperienze altrui.
Lo scienziato australiano Bill Mollison ricevette il “Right Livelihood Award” nel 1981 per l’ideazione e la messa in pratica della Permacultura (cultura dell’agricoltura permanente), termine che si riferisce a «un sistema agricolo sostenibile incentrato sulla policoltura, mettendo insieme principi di architettura e biologia, agricoltura e selvicoltura e quest’ultima con la zootecnia». Da semplice sistema biologico che garantiva l’autosufficienza a singoli e comunità, destinando al mercato esclusivamente il surplus prodotto, si sviluppò in un più articolato «sistema organico umano» comprendente «tutte le strategie legali e finanziarie appropriate, incluse quelle per facilitare l’accesso alla terra e la creazione di strutture economiche e di autofinanziamento locale». L’osservazione di una precisa etica nella progettazione degli insediamenti umani è il punto di forza della Permacultura.
Il Movimento delle Transiction Town è composto da comunità di cittadini che mirano alla creazione di un sistema di «resilienza» elibero dalla dipendenza dal petrolio. Sono sempre più numerose in tutto il mondo e da poco sono presenti anche in Sardegna. Ispirati ad uno studio di Rob Hopkins, i progetti di Transizione hanno come scopo una generale decrescita, ottenibile «attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali)».
La forte rete sociale e solidale creata permette loro di allacciare rapporti di relazione, scambio e mercato a livello regionale, nazionale, internazionale e globale, pur essendo organismi a dimensione locale.
Questi e altri esempi sono la prova che è già in atto una piccola rivoluzione che porterà ad un’alternativa concreta di vita, che non accetterà più l’invivibilità di molte zone urbane, dove si adotta quasi sempre un modello incentrato sulla presenza predominante del traffico automobilistico e dell’acquisizione degli spazi dalle lobbies affaristiche del mattone.
Gli interessi collettivi si confondono con dei bisogni “indotti”, per mezzo di affinate tattiche persuasive e la compiacenza della politica.
Per questo è importante che la Sardegna sia nelle condizioni di produrre politica sovrana, ritratti i rapporti con chi vede nella terra che noi abitiamo solo un capitale da investire nel mercato.
Elaborare un piano paesaggistico sulla base di uno sviluppo etico è solo l’inizio di una presa di posizione atta a dichiarare che il nostro diritto alla vita non può essere venduto. Si tratta di “ridisegnare” il territorio rispettando precisi principi di sostenibilità, realizzando ecosistemi produttivi che conservino e mantengano il paesaggio, privilegino e sostengano chi avvicina la produzione agricola alle città (e non viceversa), consentano ai piccoli produttori di soddisfare il mercato locale prima di tutto, stimolandoli ad avere un’offerta quanto più variegata possibile.
Dipende solo dalla nostra volontà di popolo mettere in pratica un nuovo concetto di sviluppo che valorizzi il nostro territorio. Creando, con un utilizzo più sensato della tecnologia e della scienza, una sinergia tra gli insediamenti umani dell’agro e quelli del centro urbano; prestando riguardo ai nostri “polmoni verdi” come le aree boschive, le zone palustri, o i semplici parchi cittadini. Tutto questo per garantirci una vita più densa, proiettata verso la conservazione che il nostro stesso istinto ci suggerisce, utilizzando il nostro intelletto per assecondare l’evoluzione umana nel raggiungimento di altri traguardi.
Arobetu Musiu – iRS Casteddu
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Su logu de Sardigna amostrat is sìnnius crarus de sa sudditàntzia in is cunfrontus de su sistema socio-polìticu italianu, e cussu etotu pigat de sa cultura ocidentali s’idea de isvilupu.
Chi boleus cun frimesa criai in sa terra nosta oportunidadis noas de stai beni, siat in s’economia siat in su sociali, no podeus lassai a perdi s’importu de donai torra unu giustu balori a sa calidadi de sa vida. Is logus anca s’òmini criat e curat s’esistèntzia sua, funt funtzionalis a cussa, sceti candu funt sustenìbilis e sighint un’ética chi donat balori a s’esistenti, duncas criendi sinergia tra is elementus: is fontis energèticas naturalis, su traballu de s’òmini e is frutus ca ndi torrant.
De chi no, ònnia faina, ònnia istrumentu e ònnia prodotu chi andat contru de s’evolutzioni naturali de sa terra fait dannu fintzas si criat arrichesa, ca in cudda manera est una cunditzioni momentànea e de seguru no ispainada.
Is polìticas econòmicas fatas de is guvernantis ca fintzas a oi si funt presentaus, ant fatu su giogu de is cumpradoris interessaus a tenni is finantziamentus pùblicus e guadangiai de su logu… fintzas a candu ddus est cumbènniu.
A pati s’alluadura glocalística de sa PAC c’at causau pruscatotu isperdiduras de risorsas naturalis e econòmicas, no est stètia mai atuada nisciuna strategia importanti chi podessit agiudai a essi cumpetitivas is produtzionis alimentaris de su logu, in cunfrontu de cussas foresas; mai un pranu arrexonau e attentu a sa sustenibilidadi e s’interdipendèntzia tra sistemus messarìtzius e insediamentus umanus. De medas annus in Sardigna polìgunus militaris, raffinerias e indùstrias chi impestant su logu “furant” terras saliosas e risorsas, produsendi morti a càmbiu de s’aumentu de su PIL.
De s’atra pati de su filu spinau sa lògica no càmbiat: sa progetatzioni de is zonas urbanas e de medas logus bonus po sa laurera, sighit critèrius chi intzulant a tenni sa modernidadi a marolla, cun d’una manera tirriosa tìpica de s’òmini chi si creit superiori de sa terra anca bivit.
Cussu chi no torrat de custa manera de bivi, arrica de istrupiaduras, est sa necessidadi sempri prus manna de s’òmini de aparixai ‘su chi d’amancat, cun is mexinas.
S’isbàlliu chi si fait de prus in sa progetatzioni est cussu de cunsiderai is elementus de su sistema cumenti chi fessint a sa sola. Custu at portau, cun is annus, a criai unu logu chi tenit cuntrastus mannus tra is elementus chi ndi faint pati.Cumentzendi de is bonìficas mannas fatas a is tempus de su fascismu, passendi po su fallimentari Pranu de Rinàscida po s’isvilupu industriali de is annus ’60 e ’70, arribendi a is investimentus de oi po trivellatzionis in circa de su petròlliu, polìgunus de isperimentatzioni bèllica, minieras de oru e de craboni, iscallatoius, gasdotus de serbidoria e totu ‘su chi nc’est in su panorama sardu de is ispeculatzionis econòmicas, su habitat nostu sunfrit de is dannus chi sighint a benni de custu vìtziu consumìsticu. Tra is frutus de custa manera de fai, ca no si ndi podeus fai bantu, si podit nai po esèmpiu de: sa gestioni mala de su sistema ìdricu, chi at avolotau s’antiga cumpratzidura a arruta gravitatzionali de s’àcua, faendi unu stràgiu mannu de energia e una ispratzinadura sentz’e sensu de su potentziali ìdricu (fintzas is polìticas po s’usu de s’àcua benint lassadas fai a sociedadis multinatzionalis, ca mirant a dda ponni tra is prodotus cumercialis); s’usu mannu de su cimentu armau po s’edificatzioni at prodùsiu istruturas ca arrechedint stràgius mannus de energia, po sa fabricatzioni e po cumpensai su bàsciu isolamentu tèrmicu e acùsticu; sa messarìtzia fata giai sceti cun sistemas mono-colturalis a sciampladura, fortzada e discontìnua, cun sa fittiana aradura de is campus, s’impreu de diserbantis, fertilizantis e pesticidus impoberat sa terra e dda trumbullat, causendi dannu a sa bio-diversidadi e, in sa peus manera, abelendidda po sempri; s’indùstria grai at criau zonas industrialis pranificadas in manera a nai pagu disregulada, andendi medas bortas a ocupai satus connotus de sèmpiri po essi bonus a coltivai; s’edilìtzia mala at isciusciau importantis giassus archeològicus e ghetau a paris logus de interessi paesagìsticu e biològicu; s’impreu de energia e de benis de consumu chi nd’arribant giai totus de su traballu de su petròlliu causant s’impestadura de is fontis alimentaris principalis e de s’ària c’arrespiraus (siat po ddus produsi siat po ddus isperdi).
In custu cuntestu, importantis setoris endèmicus chi iant pòtziu rapresentai s’arrichesa econòmica e sociali de sa Sardigna funt istètius strecaus a suta de su pesu de su capitalismu, ca s’agatat in sa Grandu Distributzioni Organizada e chi at portau a una crisi manna de is maistràntzias de s’artigianau, messarìtzias, cumercialis, de sa pastorìtzia, de s’arti e de sa cultura. S’òmini est stètiu sderrexinau de sa terra e d’ant segau is arrèxinis, privendiddu de unu isvilupu lìberu, chi fessit a paris de is abilesas suas e is arrisorsas de su logu.
Acapiadas a sa polìtica de su consumu mannu, is produtzionis alimentaris depint essi fatas in meda cantidadis sentz’e tenni contu de sa ciclicidadi de is ritmus naturalis de sa terra, s’apretu de consumu e sa bivibilidadi de su logu.
Unu guvernu ca no est soberanu, poita s’economia est manigiada de is lobby de is indùstrias e de cussas militaris, aundi is polìticas alimentaris depint essi paris a unu mercau chi est in manu de is multinatzionalis (ca funt agiudadas de is leis comunitàrias) no at’arrennesci mancu a produsi una polìtica de welfare. Po is aziendas agru-pastoralis sardas, piticas e mèdias, est meda traballosu a poderai su passu cumandau de su mercau europeu, duncas su messaiu o su pastori chi no arrennescit a “binci” sa concorrentzia de sa GDO in su mercau locali, meda bortas depit pigai pati a marolla de una cadena de montàgiu ca ddu permitit de tenni agiummai su mínimu chi d’abbisòngiat. De inguni a su fallimentu su tretu est crutzu, e aundi no c’est unu campu coltivau acudit a nd’arribai su cimentu. Sa messarìtzia no torrat a contu e custu portat a fai calai su balori de sa terra, duncas is terrenus de su satu no benint comporaus, chi no de chini tenit interèssus diversus de cussus agrìculus.
Su giogu po mudai is potentzialis econòmicus de unu logu e potai cussu valori econòmicu in manu a sugetus beni definius, est sèmplici: cumpromiti su balori paesagìsticu e biològicu est sa manera mellus po agiudai s’amanniamentu de sa zona cementificada.
Medas bortas est ‘su de tenni acanta su centru urbanu o calincunu servìtziu, chi donat unu balori prus atu a is terrenus, e in meda biddas de Sardigna si bit beni cumenti is pranus urbanìsticus fetzant a acorradura de su satu.
Po no si perdi in is lògicas fraitzas de unu sistema malàdiu est indispensàbili a si donai una scutulada, fintzas a nci perdi a su mancu mitadi de is certesas assolutas streculadas de chini at interèssus mannus ca sa situatzioni de oi no cambit. Est doveri nostu castiai ita sutzedit acanta de nosu e prus atesu, po si podi cunfrontai, ponni a paris su connotu e pigai su mellus de is esperièntzias allenas.
Su scientziau australianu Bill Mollison iat bintu su “Right Livelihood Award” in su 1981 po essi pensau e fatu sa Permacultura (cultura de s’agricoltura permanenti), fueddu chi bolit nai «unu sistema messarìtziu sostenìbili centrau a pitzus de sa policoltura, ponendi a paris is princìpius de architetura e biologia, agricoltura e selvicoltura e custa cun sa zootecnia». De sèmplici sistema biològicu ca garantiat s’autosuficientzia a sìngolus e comunidadis, donendi a su mercau sceti su surplus prodùsiu, s’iat isvilupau in d’unu prus articulau «sistema orgànicu umanu» anca nci funt «totus is istrategias legalis e finantziàrias apropriadas, fintzas cussas po agiudai a tenni sa terra e ‘sa de pesai istruturas econòmicas e de autofinantziamentu locali». Ponni a menti una precisa ética in sa progetatzioni de is insediamentus umanus est sa fortza de sa Permacultura.
Su Movimentu de is Transiction Town est fatu de comunidadis de citadinus ca mirant a criai unu sistema de «resilientza» e lìberu de sa dipendèntzia de su petròlliu. Funt sempri de prus in totu su mundu e de pagu nci funt fintzas in Sardigna. Ispiraus a unu istùdiu de Rob Hopkins, is progetus de Transitzioni tenint po iscopu una generali decrèscida, ca si podit tenni «torrendi a pensai su progetu energèticu e torrendisì a acostai a is arrisorsas prus importantis de sa comunidadi (produtzioni de sa cos’e papai, de is benis e is servìtzius fundamentalis)».
Sa forti retza sociali e solidali criada ddus permitit de acapiai raportus de relatzioni, baratu e mercau a livellu regionali, natzionali, internatzionali e globali, mancai siant organismus a mesura locali.
Custus e atrus esèmpius funt sa prova ca est giai cumentzada una rivolutzioni lèbia chi at a portai a un atra manera cuncreta de bivi, ca no at a bolli prus s’imbivibilidadi de medas tretus urbanus, anca s’impreat giai sempri unu modellu chi bidi sa presèntzia sèmpri prus manna de veturas, e de is lobbies afarìsticas de su matoni ca s’indi pigant is logus.Is interessus de totus si cunfundint cun is abisòngius “acucaus”, gràtzias a precisas trassas de cumbincimentu e su cumpraximentu de sa polìtica.
Po custu est importanti ca sa Sardigna siat in cunditzioni de produsi polìtica soberana, torrit a cuntratai is raportus cun chini bit in sa terra anca nos biveus, sceti unu capitali de baratai in su mercau. Ponni a paris unu pranu paesagísticu cun s’idea de unu isvilupu èticu, est sceti su princìpiu de una pigada de positzioni chi decrarit ca su diritu nostu a sa vida no podit essi bèndiu. Est a “torrai a fai” su logu arrespetendi precisus princìpius de sustenibilidadi, aprontendi ecosistemus produtivus ca alloghint e tengant su paesàgiu, agiudint e poderint chini acostat su satu a sa citadi (e no a s’imbressi), permitant a is produtoris minoris de afastiai su mercau locali prima de totu, incidendiddus a tenni un’oferta prus vària possìbili.
Dipendit de sa bolontadi nosta de pòpulu atuai unu cuncetu de isvilupu nou chi donit balori a su logu nostu. Criendi, cun d’unu impreu prus sensau de sa tennologia e de sa scièntzia, una sinergia tra is insediamentus umanus de su satu e cussus de su centru urbanu; donendi atentzioni a is nostus “prumonis birdis” che is padentis, is paulis, o is sèmplicis parcus citadinus. Totu custu po si donai una vida prus densa, chi fetzat s’òmini a s’incungiai, cumenti s’istintu nostu si cunsillat, imperendi s’intelletu po agiudai s’evolutzioni umana a lompi a atras dereturas.
Arobetu Musiu – iRS Casteddu