“Oltre Genova altre potenze, Pisa prima, la Corona d’Aragona dopo, hanno aspirato al controllo delle due isole (Sardegna e Corsica) che diventano oggetto e teatro di aspre contese, in cui raramente intervengono o sono in grado di far sentire la loro voce gli isolani.”
Un vero estratto, che potrebbe essere tratto da un qualsiasi libro di storia della Sardegna, scritto da un qualsiasi autore sardo o che si occupa della Sardegna, in questo caso pubblicato nel 2002. Perfetto esempio di come sistematicamente ci auto-escludiamo da quello che a rigor di logica dovrebbe essere il nostro passato. Un cortocircuito retroattivo che ci vede sempre ed esclusivamente oggetto del desiderio di qualcun altro e mai soggetto agente o capace di agire. Sempre dominati e mai dominanti. Sempre periferici e mai centrali. Sempre comparse e mai protagonisti. Quasi come se non fossimo mai esistiti, la storia, la nostra storia, l’hanno sempre scritta gli altri. Noi siamo rimasti a guardare.
E’ credibile pensare che sia davvero sempre andata in questa maniera? Da quando il tempo ha restituito una qualche testimonianza scritta, il walzer degli occupanti è stato continuo. Fenici dei quali in realtà si sa poco o nulla, ma che hanno fondato miracolosamente tutte, e dico tutte, le città sarde sulla costa; cartaginesi che sono gli unici volenterosi ad opporre una strenua resistenza alla conquista romana; romani, per l’appunto, che finalmente portano la civiltà in grado di innalzare a cittadini i barbari ladroni sardi; bizantini, ma qua siamo al buio più totale; e ancora genovesi e pisani, senza considerare però che il comune di Genova non fu mai proprietario di un ettaro di terra in Sardegna; spagnoli, i peggiori secondo chi solitamente scrive, ma solo perché rei di essere i predecessori cattivi degli attuali buoni padroni; piemontesi illuminati che ci permisero una perfetta integrazione con gli stati di terraferma, vedi il caso Bogino; italiani che ci costruiscono strade, acquedotti, dighe, aeroporti, basi militari, poli industriali e cavi sottomarini per portare (via) l’energia; qatarioti che ci regalano milioni che tanto loro ne hanno da buttare…
Serve a qualcosa ragionare in questa maniera? Certo, serve ad inculcare nei sardi, e finora l’obbiettivo è stato centrato pienamente, la mentalità degli sconfitti. Un racconto fatto di assenza, arretratezza, umiliazioni continue, finalizzato a demoralizzare chiunque la possa pensare diversamente. D’altronde se nel passato sei sempre stato sotto la dominazione di qualcuno perché oggi non dovresti esserlo? Se non hai mai goduto di una piena libertà con quale coraggio puoi cercarla ora o in futuro? Chi crede di non aver mai vinto una battaglia, è portato a restare a casa rifiutandosi di giocare.
E allora riaffiora in tutta la sua importanza il problema di una riscrittura della nostra storia, un racconto maggiormente equilibrato che ripercorra realmente il cammino dei sardi, che ci permetta di riacquistare quel ruolo centrale che ogni popolo ha per forza di cose nella terra in cui vive. Spettatori o protagonisti, un storia che possa ridare dignità e descrivere la meravigliosa ricchezza di quei mille anni che solitamente definiamo “civiltà nuragica”, come se gli egizi potessero essere definiti “civiltà piramidale” o i romani civiltà degli acquedotti; che affermi con certezza che Hampsicora, se anche si dovessero trovare prove certe che possano affermare una sua origine africana, era sardo a tutti gli effetti e che per la libertà delle sue genti, e non per effimere vecchie parentele cartaginesi, combatté e morì con onore contro i suoi nemici; che la civiltà giudicale fu lunga e prospera, e se anche non si può negare l’influenza che i comuni di Genova e Pisa ebbero in quell’epoca non ci fu nessuna conquista di questi ultimi, non ci fu una Sardegna né pisana né genovese, e che i veri protagonisti di quei secoli furono i giudici e in particolare quelli di Arborea che credettero davvero in un futuro indipendente per la Sardegna e questo loro sogno non fu realizzato davvero per poco, e che sul campo, in battaglia, conseguirono diverse vittorie contro la superpotenza spagnola; che per quanto lo possa definire illuminato, Bogino fu uno dei peggiori persecutori dei sardi, tanto da arrivare a promuovere la famigerata legge sul taglio della barba; che Giovanni Maria Angioy fu sicuramente un eroe anti-feudale, ma che quello era solo un aspetto della sua visione politica che prevedeva anche la creazione in Sardegna di una libera e moderna Repubblica sul modello, e sotto protezione, di quella francese, come lui stesso afferma nel suo memoriale; che le migliaia di sardi mandati al massacro nelle trincee della Grande Guerra non lo fecero né per difendere i sacri confini del regno italiano né per un innato spirito di abnegazione, ma lo fecero solo perché non avevano alcuna alternativa e perché furono ingannati dalle promesse fatte dai governi. Così come ingannati sono stati tutti coloro che hanno creduto nella grande industria e che adesso si ritrovano senza lavoro e con il territorio compromesso da uno sfruttamento sregolato.
Solo se riusciremo a raccontarci il nostro passato in maniera libera da condizionamenti, senza eccedere in esaltazioni inutili ma anche senza cadere nell’autoflagellazione tanto cara ai nostri accademici, solo allora saremo serenamente in grado di capire da dove veniamo, chi eravamo e dove vorremmo andare.
Marco Lepori
1 commento
Caro Marco, è una questione certo di prospettiva ma le cose sono più complesse. Quella che tu chiami tendenza all’autoflagellazione, è un aspetto della storiografia sarda – accademica – che è ormai scomparso da parecchi anni : gli ultimi lavori compiuti in questo senso datano all’epoca di Giovanni Lilliu, Alberto Boscolo e Francesco C. Casula. I temi cari a quel tempo erano l’isolamento, la costante resistenziale e il mantenimento dell’autonomia politica raggiunta prima e durante l’epoca giudicale. Ora le cose sono parecchio cambiate e le ideologie politiche che permeavano i lavori degli storici hanno lasciato spazio alla scienza storica. Per riassumere posso dire che sono state poste nuove domande e abbattuti vecchi ostacoli ideologici. Il discorso sarebbe lungo e non mi pare questa una buona sede per affrontarlo. Il nodo cruciale del problema dimora comunque, come ho accennato e come tu sottolinei, sulla prospettiva e sulla chiave di lettura dalla quale e con la quale si analizza la storia di una qualsiasi regione. In questo senso è fondamentale non cadere in tranelli durante l’interpretazione delle fonti facendo grande attenzione alle facili generalizzazioni. Per esempio : è certo che Cartaginesi furono gli unici volenterosi ad opporre una strenua resistenza alla conquista romana? è certo che i Romani portano la civiltà in grado di innalzare a cittadini i barbari ladroni sardi ? è certo che sui Bizantini siamo al buio più totale? è certo che Genovesi e Pisani non furono mai proprietari di un ettaro di terra in Sardegna? e cosi via…Tutte queste tue affermazioni non possono definirsi propriamente storiche perché si tratta di interpretazioni veicolate dal tuo punto di vista, dalla tua idea della storia della Sardegna. Le fonti non ci parlano di “Cartaginesi volenterosi” o di “Romani portatori di civiltà”. Tutte queste sono considerazioni che non poggiano sulle fonti e, dunque, non sono considerazioni storiche. Per concludere rapidamente: la storia della Sardegna che desideri tu l’hanno scritta proprio i “nostri (vecchi) accademici”! Certo, loro utilizzarono una chiave di lettura ideologica diversa dalla tua (non tutti in realtà) ma la conclusione fu identica: evidenti forzature nell’interpretazione delle fonti a causa di un punto di vista molto ideologico e poco storico. Magari ne riparleremo in altra sede…Un saluto Piero Fois