di Franciscu Sedda
Qualche giorno fa, mentre i Tg annunciavano i malumori nel mondo pastorale, Videolina trasmetteva le immagini della Sardegna del 1984. Il Tg di allora proclamava – nientemeno – lo stato di “crisi” della pastorizia. Davanti alle telecamere sfilavano, a parti talvolta invertite, molte delle facce di oggi: politici, industriali, sindacalisti. Con una certa soddisfazione si dichiarava raggiunto l’accordo: mille lire per un litro di latte.
Se non fosse stato per i colori sbiaditi e l’assenza dell’euro si sarebbe detto che si era davanti ad un inquietante dejà vu. Possibile dunque che in Sardegna il tempo non passi? Che le classi politiche si succedano, l’economia cambi, uomini diversi guidino greggi e imprese e le cose – soprattutto le crisi, i problemi e le soluzioni che non danno soluzione – appaiano simili? Ed è possibile che il valore di un litro di latte, mentre tutto è aumentato, si equivalga? No, non tutto è uguale.
Sarà un caso ma nelle immagini del 1984 a mancare erano proprio i pastori. Oggi invece sono al centro della scena e si può pronosticare che la loro lotta sia solo agli inizi.
Il punto è che in questi vent’anni, a dispetto di rozzi stereotipi, è stato proprio il mondo dei pastori a investire, modernizzare, innovare: adeguandosi alle regole europee, superando per tecnologia le aziende italiane ed esponendosi fino a indebitarsi. Il pastore del vecchio immaginario forse non c’è più ma la pastorizia (e il suo enorme indotto) rimane una delle spine dorsali, economiche e antropologiche, della nostra terra.
Chi è restato fermo in un mondo che si muoveva sono stati invece gli industriali. La loro capacità di competere, diversificare, investire nel marketing è stata, comparata coi cambiamenti negli ovili, quasi nulla. Accontentandosi del mercato Usa e adagiandosi sui finanziamenti UE e della Regione hanno scambiato l’impresa con l’assistenza (tentazione, quella della sopravvivenza assistita, a cui non sfuggono, peraltro e purtroppo, nemmeno molti pastori e molti sardi). La verità dunque è che non basta dirsi manager per fare economia, per costruire reti economiche e sociali che sappiano reggere l’impatto del cambiamento.
Il prezzo è solo la punta dell’iceberg. Il fondo è che un dato strutturale determina la situazione attuale. Il mercato italiano si basa al 90% su latte e formaggio bovino, quello sardo è al 90% ovicaprino e incide sul primo per un misero 5%. Come dire: due mercati, due politiche
e invece in Sardegna ci si è adeguati a scelte che finiscono per andare contro gli interessi sardi. Lo stesso dicasi per i mancati controlli frontalieri o la mancata commercializzazione e distribuzione delle carni. Problemi politici che la politica “finto sarda” ha finora eluso.
Ciò che per fortuna non è mancato è l’associazionismo: la metà delle aziende del latte sono cooperative e casi come il consorzio del “Fiore sardo” testimoniano della crescente capacità auto- organizzativa dei nostri pastori. Nondimeno molti di essi, per debolezza, incoscienza o altro, hanno appoggiato quella politica che lentamente li uccideva.
Resta il fatto che in Sardegna abbiamo un prodotto, il nostro latte, che più che essere speciale è unico. Oggi che non si vendono più “merci” ma la qualità e il valore aggiunto di una cultura, di una storia, di un saper-fare non possiamo che guardare al futuro con fiducia. Buon anno
“nuovo”.
03/01/2005
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Isgàrrica s’artìculu: 2005-01-03 – Vent’anni e nulla è cambiato. Vecchia politica e crisi del latte
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