Il paradosso Belgio

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Il paradosso Belgio, cuore dell’ Europa da duecento giorni senza un governo.
Repubblica 4 gennaio 2010
BRUXELLES Dalle finestre del suo ufficio lo storico Michel Dumoulin vede sventolare il vessillo nero, giallo e rosso sul palazzo di fronte. «Ormai è un oggetto di antiquariato» ironizza. Riso molto amaro, quello del professore universitario, curatore de “La nuova storia del Belgio”, una storia forse prossima al capolinea. «Qualcuno ha detto che siamo il primo Stato post-moderno dell’ Europa, perché nati nell’ Ottocento con una struttura leggera, così leggera che adesso sta evaporando». Sei mesi senza governo sono un’ enormità, l’ ennesima beffa surreale di questo Paese nel cuore dell’ Europa ma sempre più preda di pulsioni suicide. Le elezioni di giugno non furono un nuovo inizio, ma soltanto un altro passo verso la dissoluzione.
Da allora sono falliti quattro tentativi di formare un esecutivo e dal 3 settembre scorso i negoziati sono ufficialmente interrotti. Nessuno fa più nulla, una nazione inerte e spaventata dalle dinamiche che ha messo in moto, sempre più inarrestabili. I sette partiti belgi, quattro fiamminghie tre francofoni, non si parlano più. L’ ultimo tentativo di mediazione è arrivato ieri sera, con un rapporto di sessanta pagine firmato Johan Vande Lanotte. Il socialista vallone è stato incaricato da re Alberto II di rattoppare un Paese sull’ orlo di una scissione che è sempre più nei fatti. Ormai la separazione tra fiamminghi e valloni non è un’ ipotesi di scuola, uno spettro da agitare davanti ai più facinorosi delle opposte fazioni.
C’ è molta rassegnazione nella voce di Dumoulin. «Oggi non abbiamo più bisogno di una moneta comune, perché abbiamo l’ euro. La necessità di un esercito è passata. Siamo uniti solo dal sistema sanitario. Ma quando scompare l’ idea della solidarietà, che è alla base di uno Stato sociale, tutto è possibile». Qualunque rattoppo costituzionale venga ideato, il Paese creato dalle grandi potenze europee nel 1830 è ormai da reinventare. «Resta da capire – conclude lo storico – se qualcuno ha davvero intenzione di fare almeno un ultimo sforzo di fantasia».
Tra le cioccolaterie della Grande Place, le nuove tempeste di neve suscitano molto più interesse della crisi politica, nella capitale le manifestazioni in difesa dell’ unità nazionale sono fatte ormai da carbonari. «Le discussioni tra i partiti sulle riforme amministrative e la decentralizzazione appassionano solo gli addetti ai lavori» racconta il sociologo Marc Jacquemin. Dagli anni Sessanta, quando venne definita la frontiera linguistica che taglia in due il Paese, il governo federale è stato sottoposto a continue cure dimagranti, trasformandolo in una sorta di bancomat destinatoa finanziare le tre comunità (ci sono pure germanofoni) senza mai unirle in un disegno comune. Da allora, un susseguirsi di riforme costituzionali, fino al 1993 quando il Belgio è diventato uno stato federale, con gli ex signori feudali della Vallonia ormai trainati dagli ex contadini poveri delle Fiandre: nel nord del paese vive la maggioranza dei belgi, si produce quasi il 60% del Pil e il tasso di disoccupazione è quasi un terzo di quello del sud. La rivalità è antica, ma solo oggi il Belgio ha superato ogni livello di conflittualità. Da 204 giorni il paese continua a essere guidato da un premier che in realtà sarebbe decaduto dallo scorso giugno. In questi mesi, il centrista Yves Leterme è stato costretto ad assicurare la gestione degli affari correnti e anche la presidenza di turno dell’ Unione europea. Prima di Natale, in assenza di una maggioranza in parlamento, ha dovuto persino “rateizzare” la legge Finanziaria, garantendo una copertura solo fino a marzo. Dopo, impossibile dire cosa accadrà, un esercizio più provvisorio di questo è difficile da trovare nella storia recente.
Nessuno a Bruxelles si sente di escludere la possibilità di battere il primato mondiale dell’ Iraq, 289 giorni senza governo. “L’ unità fa la farsa”, invece della forza. Lo slogan di un video comico molto cliccato sul webè diventato il termometro della disillusione. «La gente non sa più distinguere più tra un esecutivo politico e uno tecnico come quello di oggi» osserva Jacquemin. «Per il momento, non ci sono conseguenze visibili, la vita va avanti». Nel suo discorso di fine anno, re Alberto II ha lanciato un appello al compromesso, se non all’ unità. Da domani, i principali leader politici dovranno dare una risposta al “conciliatore reale” Lanotte.
Il suo obiettivo è minimo: riportare i partiti intorno a un tavolo. Alla disperata ricerca di un accordo sull’ autonomia fiscale, su un ulteriore trasferimento agli enti locali di alcune competenze amministrative e sulla fine della circoscrizione Bruxelles-Hal-Vilvorde, unica enclave bilingue nelle Fiandre. Il leader fiammingo Bart De Wever cerca di alzare ogni volta l’ asticella, perchè senza di lui non si fa nulla. «Vogliamo un’ evoluzione, non una rivoluzione» ripete.
Eppure la scissione fa parte del suo programma elettorale. Nei prossimi giorni dovrà decidere se concedere un gesto di generosità. Il socialista vallone Elio Di Rupo è pessimista. «De Wever cerca una scusa per distruggere lo stato federale e creare una Repubblica delle Fiandre». Anche se la proposta di compromesso presentata ieri da Lanotte venisse accettata, bisognerebbe poi trovare un accordo sulla Finanziaria, stimata già a 22 miliardi di euro. Ma l’ unica leva che potrebbe smuovere il Leone delle Fiandre, De Wever, è proprio la situazione finanziaria sempre più nera, per tutti. La crisi del debito belga (340 miliardi di euro, 100% del Pil)è reale.I funzionari del Fondo monetario internazionale sono arrivati a Bruxelles per manifestare la loro preoccupazione. Il 15 dicembre l’ agenzia di rating Standard & Poor’ s ha minacciato di declassare il Belgio se non ci sarà a breve un nuovo esecutivo. Di fronte al rischio di finire come la Grecia o l’ Irlanda, anchei ricchi fiamminghi sceglieranno la vecchia arte del compromesso. Aspettando il momento in cui potranno finalmente ripiegare l’ odiata bandiera di un Paese che ormai esiste solo sulle carte geografiche.
DAL NOSTRO INVIATO ANAIS GINORI

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