Appunti Contemporanei. La perfetta fusione ai tempi della globalizzazione

0

E’ innegabile. Viviamo un tempo di crisi. L’economia globale è attraversata dalla più grave recessione dal dopo guerra a oggi. Essa ha messo in luce i limiti di un’economia finanziaria lasciata libera da qualsiasi forma di controllo. Questo è anche il tempo in cui si è riacceso il dibattito sul rapporto tra Stato e Mercato, e andando ancora di più nello specifico nella relazione che esiste tra democrazia e finanza.

Fino al 2007, anno dell’inizio della Crisi, le politiche economico-finanziarie hanno avuto una visione temporale corta. Il sistema economico basava le sue utilità attraverso scansioni temporali brevi, e la sua resa produttiva era diventata una variabile dipendente dell’economia finanziaria. Lo Stato, e quindi la politica, erano tagliati fuori dai campi decisionali che definivano tali andamenti.

Oggi assistiamo ad un ribaltamento di tale dinamica. Lo Stato ri-diventa un protagonista dell’economia, per esempio attraverso il salvataggio di importanti banche di credito o attraverso il dispiegamento di politiche monetarie espansive come testimoniato dalle scelte di Obama. All’interno dell’area euro  il rapporto PIL/debito di alcuni stati è aumentato fino a  mettere in dubbio la tenuta della moneta unica.

Al fine di scongiurare questo scenario, l’Unione Europea si è dotata di meccanismi finanziari di salvataggio impensabili fino a pochi mesi fa. A tal proposito il quotidiano francese Le Monde afferma che «gli europei hanno imparato la lezione della crisi della Grecia, e si sono dotati di una duplice ruota di scorta: il Meccanismo Europeo per la Stabilizzazione Finanziaria (Mesf pari a 60 miliardi di euro) e il Fondo europeo per la stabilizzazione finanziaria (Fesf, pari a 440 miliardi di euro). A questi occorre aggiungere l’appoggio dato dal Fondo monetario internazionale, utilizzabile per erogare prestiti sotto forma di aiuti ulteriori che possono arrivare fino al 50 per cento della somma proveniente dall’Unione europea. Complessivamente, insomma, i fondi disponibili ammontano a 750 miliardi di euro».

Il sistema delle relazioni internazionali è in una fase di transizione verso una distribuzione globale del potere più vicina agli equilibri politici dell’arena internazionale. Dentro questa cornice molte dimensioni del potere si stanno ristrutturando: Stato, Democrazia, Mercato, Diritti Umani. E’ un mondo in divenire a cui fa da contrappeso una Sardegna immobile. Stagnante. Incapace di navigare tra le maree della globalizzazione con in tasca l’unico passaporto utile verso lo sviluppo economico e una nuova fase della sua storia: l’indipendenza.

La crisi sull’Isola viene da lontano. E’ strutturale e non figlia di questa congiuntura. I suoi indicatori economici sono, non da oggi, quasi sempre agli ultimi posti in Europa. Trasporti, istruzione e fiscalità sono solo alcuni dei nodi irrisolti che Autonomia e autonomisti non hanno saputo sciogliere. L’impianto normativo figlio dello Statuto del ’48, elemento su cui doveva basarsi il piano di sviluppo della nazione sarda, è invece stato un limite per la sua crescita economica, politica e sociale. Crisi costitutiva e crisi congiunturale stanno facendo venire a galla tutte le contraddizioni delle culture politiche che governano e hanno governato la Sardegna.

La sconfitta di Cabras a Cagliari è stato il segnale che la stagione del sorismo è finita. L’ultimo sussulto di un autonomismo riformatore, democratico e riformista è rimasto imbrigliato nella ragnatela del sistema partitico italiano. La domanda che mi pongo è questa: l’Autonomia ha la capacità culturale di immaginare e realizzare una Sardegna che stia al passo con la fase costituente che il mondo sta attraversando? E’azzardato dire che attualmente la cultura autonomista è diventata  un  perimetro conoscitivo di stampo conservatore, a prescindere da categorie come destra e sinistra, rispetto alle esigenze reali della nazione sarda?

Un esempio concreto: le modalità con cui governo e opposizione stanno gestendo la vertenza entrate. Non sarebbe più opportuno portare avanti una progettualità che dispieghi l’idea di una possibile sovranità fiscale rispetto ad un inutile tira e molla che insegue governi “amici”, conflitti di attribuzioni e norme statuarie del secolo scorso? Sfogliare i giornali in Sardegna vuol dire fare quotidianamente un tuffo nel periodo della perfetta fusione, grazie alla quale la Sardegna avrebbe goduto di facilitazioni commerciali, sgravi fiscali, elargizioni di concrete provvidenze in favore dell’Isola, accesso alle più alte cariche dell’amministrazione statale e l’equiparazione degli stipendi sardi con quelli ben più alti dello Stato sabaudo. Ad oggi i problemi appaiono sempre gli stessi.

In questo quadro la Sardegna ha bisogno di una classe dirigente che la guidi verso un futuro diverso e partecipativo nei confronti dei luoghi del potere moderno: sovranità e indipendenza sono gli arnesi del cambiamento. Un futuro  lontano da concetti come Autonomia e Specialità. La Sardegna necessita della sovranità per calibrare su se stessa il suo posizionamento all’interno di un mondo ormai globale. Da questo processo dipenderà su tempus benidore dell’Isola.

Oggi il riformismo e il vento del cambiamento soffiano dalla parte di chi aspira ad un sistema politico/partitico nazionale sardo, ad una partecipazione piena e sovrana della Sardegna al processo di integrazione europea, ad una progettazione di politiche economiche calibrate sui reali interessi dell’Isola e ad una revisione dello Statuto inteso come norma finale e fondante di un processo di autodeterminazione che sancisca la nascita della Repubblica Sarda.

Nello Cardenia

Share.

Leave A Reply